La carta d'identità dice ormai ottantaquattro, ma il Gabbiano spiega ancora le ali. Come faceva in campo, quando da grintoso e rapido mediano rincorreva la mezzala avversaria più pericolosa. In un calcio dal sapore artigianale, lontano anni luce dalle sbornie televisive e dagli isterismi di oggi. Stefano Angeleri da Castellazzo Bormida aggiunge un altro giro alle rotazioni terrestri che ne hanno scandito l'esistenza terrena, buona parte della quale trascorsa a masticare il verbo del pallone. Un traguardo tagliato da bergamasco onorario, titolo che gli compete fin dal 1949, l'anno in cui abbracciò la causa dell'Atalanta. Che sarebbe rimasta sua sostanzialmente per tutta la vita, avendo costituito la sua più lunga parentesi professionale: fino al 1960 come alfiere in campo dei colori nerazzurri, per poi chiudere ogni rapporto nel 1969 dopo sette stagioni e mezzo in panchina, di cui quattro nelle giovanili.
Ma Bergamo, evidentemente, era nel suo destino. Anzi, iscritta a caratteri d'oro perfino nella sua data di nascita: il 26 agosto, che coincide con la festività di Sant'Alessandro, il patrono della Città dei Mille. Accasatosi all'ombra della Maresana per scelta di vita ancor prima che di lavoro, prese dimora non lontano dallo stadio, teatro delle sue imprese da giocatore. Né si allontanò poi di molto allorché decise di staccare il cordone ombelicale con la sua terra adottiva: allenò un po' ovunque, in area padana, ma mai più a sud di Modena. Ma torniamo all'eroe delle scarpe bullonate che fu, e alla sua storia consacrata al servizio della Dea. Non piovve dal nulla, bensì come gentile concessione di Madama Juventus, nel 1949/50, dopo due stagioni a fianco di Boniperti, Depetrini, Rava e Parola: era un centrocampista difensivo, ma il tecnico inglese William Chalmers - standogli antipatico Muccinelli, come riporta il compianto giornalista e juventinologo Vladimiro Caminiti ne "I più grandi. Tutti i campioni che hanno fatto la storia della Juventus" - gli aveva regalato anche qualche escursione all'ala destra.
Avrebbe potuto vivere il suo arrivo alla corte del presidente Daniele Turani come una retrocessione professionale, Angeleri. Niente di più sbagliato: in possesso di limpide risorse tecniche, il "fine e quasi delicato" (è ancora Caminiti a descriverlo così) ragazzo alessandrino s'impossessò del ruolo di mediano, preferibilmente a destra. Il che, nell'era del "sistema" come modulo di gioco, significava dover arginare e smistare la palla a compagni più dotati, come recita l'inno ad Oriali di Ligabue. Nel suo caso, ciò comportò anche un generoso e gravosissimo spendersi in marcatura contro mezzali sinistre del calibro dello juventino John Hansen, uno dei fenomeni dell'epoca. 317 partite (e due gol) con una sola discesa in B, nel 1957/58, sotto tecnici come Varglien, Neville, Ceresoli, Ferrero, Bonizzoni, Rigotti, Adamek e Valcareggi, e insieme a compagni come Karl Hansen, Bertil Nordahl, Jeppson, Sorensen, Rasmussen, Bassetto, Titta Rota, Zavaglio e Randon. Non uno qualunque, ma uno che con la fascia da capitano al braccio raggiunse una quota di presenze in campionato finora insuperata: solo Bellini è destinato a distanziarlo nella speciale classifica, mentre quanto a gettoni complessivi (324), che comprendono quindi anche le gare di coppa, lo precedono Bonacina (331) e lo stesso vicecapitano attuale (330). Decisamente uno abituato a volare alto.
Stefano Angeleri: il who's who
Stefano Angeleri è nato a Castellazzo Bormida (Alessandria) il 26 agosto del 1926. Cresciuto calcisticamente nelle giovanili dell'Ovada e dell'Acqui, nel 1946 passa al Voghera in B (31 presenze), prima di essere notato dalla Juventus di Gianni Agnelli. Due annate con 47 partite e 2 reti, ed ecco il trasferimento della vita: divenuto atalantino nell'estate del 1949, vi avrebbe concluso la carriera di calciatore undici stagioni più tardi, a 34 anni, da bandiera.
Al termine della sua carriera agonistica si dedica al ruolo di allenatore, cominciando con le giovanili dell'Atalanta. Viene promosso in prima squadra nel 1965-66, in sostituzione dell'esonerato Hector Puricelli. Due anni più tardi rimpiazza in corsa Paolo Tabanelli. Dopo l'esperienza atalantina, durata fino al 1969, anno in cui viene licenziato a favore di Silvano Moro prima e del leggendario Carlo Ceresoli poi, passa al Parma in serie D ottenendo il salto di categoria. Da allora cambia numerose società nelle serie minori, fino a concludere la sua carriera a metà degli anni '80: Modena, Seregno, Cremonese, Casale, Pergocrema, Sant'Angelo, Piacenza, Seregno e Lecco (nel 1986) le altre tappe del suo cammino.
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