Avere nel palmarès una sola presenza nella massima serie, per di più circoscritta al match d'esordio, potrebbe suonare come una beffa o come il marchio di fabbrica dell'eterna incompiuta. Dal dorato mondo delle meteore sbucate all'improvviso nel firmamento del pallone e poi zavorrate da aspettative forse troppo entusiastiche, ecco Julien Rantier. Che a ventotto anni compiuti, con quell'unico fiore all'occhiello nerazzurro dei 54 minuti concessigli da mister Giancarlo Finardi nel 2-1 casalingo con il Como, guarda al proprio passato con l'inossidabile certezza di essersi lasciato un grande futuro alle spalle. Toccata e fuga nell'Atalanta, che lo aveva visto crescere strappandolo ancora ragazzino alle giovanili del Nimes, e poi una lunga gavetta che sembra non avere mai fine. Annate intere spese nel limbo della cadetterìa non l'hanno rilanciato a mo ' di trampolino nel calcio che conta: adesso sverna in Prima divisione, nel Taranto, cui è approdato l'estate scorsa dopo due giri di corsa e mezzo in maglia Hellas.
E sì che dover pur essere promettente, il ragazzino dal peso piuma e la faccia sbarazzina da ala razzente nato a Pont-Saint-Esprit, paesino della Linguadoca-Rossiglione famoso per l'irrisolto e bizzarro caso delle baguette allucinogene (con 7 morti e 250 episodi di patologie psichiatriche: i cosiddetti pain maudit) verificatosi il 15 agosto 1951. Un po' pazzerello anche lui, tanto da tradire le attese? Può darsi. Intanto, però, se si è scelti da Mino Favini per far parte del vivaio più fertile dello Stivale qualcosa di buono bisogna avercelo. Dribbling secco, corse a perdifiato, senso dell'assist e saltuariamente del gol, da spalla ideale del centravanti: qualità che indussero Giovanni Vavassori a promuovere il francesino nella rosa della prima squadra, e il suo sostituto di Castel Rozzone a gettarlo nella mischia quel 17 maggio 2003 a fianco di Fausto Rossini. Gli ultimi 36 giri di lancette al suo posto li disputò quella sciagura di Davor Vugrinec, giusto per la cronaca. Ad archiviare la pratica in rimonta fu la doppietta di Cristiano Doni, il gol a freddo dell'ex Nicola Caccia servì a poco ai lariani di Eugenio Fascetti. Che sarebbero retrocessi dritti filati in B, accompagnati ahinoi nella sorte avversa anche dalla Dea, superata dalla Reggina nel doppio spareggio di fine stagione.
E Rantier? Pronti, via: messo insieme a Simone Padoin nel pacco postale in direzione Vicenza per ottenere in cambio due colonne come Antonino Bernardini e Michele Marcolini, dalla città dei magnagatti non sarebbe più tornato alla base. Come invece accadde al Pado, ma è storia risaputa. La vicenda dell'aletta venuta dal sud della Francia, spesso riciclata in esterno alto per esigenze tattiche e una certa mancanza di peso specifico, è raccontata dai suoi cambi di divisa. Due stagioni e mezzo tra i berici, mezza nell'AlbinoLeffe, una nel Verona, due e mezzo nel Piacenza: nell'estate del 2008, l'addio anche alla B. Ancora due annate all'ombra dell'Arena, col cruccio dei playoff promozione persi col Pescara, e la delusione dell'assalto fallito al secondo campionato professionistico nazionale si ripete nelle semifinali tra il suo Taranto e l'Atletico Roma. La voglia di riscossa, per l'atalantino che ballò un solo giro di pista, parte dalla Lega Pro. Augurissimi.
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