Sarebbe un errore da parte del mondo del calcio italiano derubricare il discorso di Andrea Agnelli all’assemblea degli azionisti della Juventus di ieri mattina, a un semplice evento privato, di interesse relativo a un solo club, ai suoi azionisti e ai suoi tifosi. Se il nostro calcio per una volta riuscisse a liberarsi del suo provincialismo, se si riuscisse a guardare oltre il rigore dato o non dato, si ragionasse senza farsi condizionare dal tifo o dai pregiudizi, e si cominciassero ad affrontare le cose con l’unico scopo di migliorarsi e di crescere (poi ci lamentiamo di come siamo caduti in basso), il discorso di Agnelli potrebbe anche diventare un piano di lavoro dal quale trarre spunti, con riflessioni da mutuare, dibattiti da accendere. Agnelli, ovvio, parla della Juventus, ma ha allargato l’orizzonte al futuro del calcio, all’organizzazione, ai format delle competizioni, alla sfida aperta nei prossimi cinque anni che cambieranno il calcio sotto l’aspetto economico ed organizzativo, lo porteranno alla fruizione globale. La Juventus è un esempio che funziona, nessuno può negarlo, e gli esempi positivi devono servire da traino a tutto il movimento. Sembra un discorso banale e invece no. Guarda caso un ragionamento del genere in questi mesi l’ho sentito fare solo da Rocco Commisso, uno che è arrivato in Italia con una mentalità diversa, scevro da guerre di cortile, inimicizie e amicizie da cavalcare, centri di potere da privilegiare. Commisso, forte anche dell’esperienza degli sport americani ha detto semplicemente e banalmente che la strada intrapresa dalla Juventus è giusta per crescere e va in sostanza seguita. Non a caso è lo stadio la prima cosa che vuole fare, è già partito con il centro sportivo e sta riorganizzando la società Fiorentina.

I dati della Juventus sono sotto gli occhi di tutti. Il titolo in borsa nel 2010 aveva una capitalizzazione di 162 milioni. Sapete oggi quanto vale? Un miliardo e 470 milioni al giugno scorso.

Fino a pochi anni fa la Juventus era al quarantaduesimo posto nel ranking Fifa, oggi è quinta e sta per diventare quarta.

Il fatturato che pochi anni fa era appena sopra i 170 milioni, oggi supera i 500. Ha circa settecento dipendenti, come una grande azienda. E la Juve è una grande azienda.

Come c’è riuscita l’abbiamo già scritto e detto tante volte, dalla scelta degli uomini, dall’idea dello stadio, ai beni immobili aumentati anno dopo anni, alla valorizzazione del brand, soprattutto alla grande attenzione, al grande lavoro, quasi maniacale, dell’aspetto sportivo. Agnelli lo ha ribadito ieri: tutto gira attorno all’appeal sportivo. Fare bene calcio è il core business, è l’attrattiva. Tutto ruota attorno a una squadra che funziona e il funzionare, essere attrattivi, quando sei consolidato, non vuol dire solo vincere come dimostra il Manchester United che ormai è talmente riconosciuto che resta comunque ai vertici economici e di attenzione mondiale anche in un periodo di risultati sportivi non eccitanti. Però è il Manchester…

Ora la Juve punta proprio a questo, entrare nei top club, Agnelli ha annunciato un piano quinquennale per dare l’assalto proprio al vertice del calcio mondiale, al Manchester appunto, al Real o al Bayern e a quella decina di società che le sono ancora superiori. Come fare?

E’ stato varato un aumento di capitale da 300 milioni, si alza l’asticella con un massiccio intervento economico dei suoi azionisti come hanno fatto i grandi club appena citati, con l’obiettivo di diventare un brand globale, riconosciuto, riconoscibile, capace di essere attrattivo per i risultati, per il gioco (da qui anche Sarri), ma anche per tutto quello che ruota attorno a una grande società e attorno al calcio.

Le tre divisioni sport, servizi e commerciale, con a capo top-manager (allo sport c’è Paratici) dovranno essere trainanti anche per affrontare le sfide e la riorganizzazione dei prossimi anni. Se cresce il brand, la divisione sportiva potrà essere più attrattiva ed avere più risorse per intercettare i giovani talenti del mondo, come succede oggi al Real o ad altre, dovrà espandersi nello scouting mondiale per trovare un altro Ronaldo o altri Ronaldo, ma la sfida è soprattutto sul nuovo modo di fruire il calcio nel mondo, che vuole andare anche oltre le televisioni tradizionali, con le nuove piattaforme, sfruttando un mondo che sta nascendo, l’energia dei giovani e i cambiamenti in atto che sono velocissimi.

Riuscirà questo rilancio? Non c’era altra strada. L’aumento di capitale era necessario e inevitabile, appunto come hanno fatto tutte le altre grandissime società. La Juventus è arrivata a un punto alto, ma rimanere così, in questo limbo poteva anche significare scendere o non riuscire a crescere più. Serve l’ultimo step, servono risorse, è necessario investire per migliorare e rafforzarsi, per crescere ancora. E’ così che la Juve ha deciso di fare, ora dovranno essere bravi come sono stati negli ultimi anni, a mettere in pratica i piani e i progetti annunciati dal presidente.

Su questa strada in Italia si sta ponendo decisamente soltanto l’Inter. Sistemati i pesanti conti che hanno condizionato i primi anni di Suning, anche i nerazzurri oltre a potenziare la squadra, ora stanno accelerando sull’aspetto societario-economico, a cominciare dallo stadio di proprietà. Altre idee arriveranno, non c’è altra strada, e le grandi risorse di Suning fanno ben sperare. Ma c’è bisogno che oltre alle grandi, anche le società medio-piccole, ognuno con il suo ruolo e le sue possibilità, comincino a ragionare in questi termini. Anche se restano alcuni esempi che per ora funzionano, è finita l’epoca delle società a livello familiare. Naturalmente se l’obiettivo è crescere.

Durante l’assemblea, Agnelli non ha mancato di attaccare ancora una volta Antonio Conte per i sei mesi passati dalla Juve senza allenatore per il calcio scommesse nel 2012, e qui, devo dire, vedo una caduta di stile. All’epoca nessuno ebbe dubbi su Conte e fu difeso a spada tratta. Ora il solco fra i due è profondo dopo le dimissioni dell’allenatore nel 2014 e lo capisco, ma i toni dovrebbero restare al livello alto dei due personaggi. In fondo Conte è stato l’uomo che sportivamente parlando, ha risollevato una squadra arrivata settima e con un organico normale-mediocre ha vinto lo scudetto e messo le basi per questo decennio storico. Certe cose le lascerei alla pancia del tifoso, ma anche i tifosi spesso seguono quello che percepiscono ed educarli credo sia una delle cose che le grandi squadre top al mondo fanno e cercano di fare. Se ho seguito Agnelli e l’ho applaudito per aver denunciato i capi dei tifosi fuorilegge, su quest’altro terreno lo seguo meno. Certe polemiche alla fine servono solo a eccitare tifoserie opposte che invece avrebbero solo bisogno di essere calmate.

Passando ai rumors di mercato, tiene banco Ibrahimovic che sapientemente guidato da Mino Raiola, sta cercando un futuro dal prossimo primo gennaio quando scadrà il contratto con i Galaxy. Vorrebbe tornare in Italia e De Laurentiis ha fiutato il colpo. Per Napoli l’effetto-Ibra sarebbe un’iniezione di energia pura. Sono convinto che anche a 38 anni, uno così, nel nostro campionato possa fare la differenza soprattutto perché a pilotarlo e gestirlo ci sarebbe uno come Ancelotti. Ma con i quattro milioni che Adl ha intenzione di investire e offrire, si prende oggi uno come Ibra abituato ad altre cifre? Dipende da quanta voglia ha il giocatore di rimettersi in gioco e alla sua età di confrontarsi di nuovo in un calcio vero. Ibra ama le sfide e certe sfide a volte non hanno prezzo. Del resto in Italia non vedo altre squadre adatte a Ibra. L’Inter s’è chiamata fuori. Conte è convinto di portare Lukaku ad altissimo livello, Lautaro sta esplodendo, il giovane Esposito ha davvero impressionato nell’esordio in Champions e se l’Italia cercava un centroavanti forse l’ha trovato. Poi c’è Sanchez che tornerà a gennaio e Ibra è uno che vuole giocare. Per il Bologna è un sogno, la Fiorentina ha già Ribery come over, ma il ciclone Ibra resta in agguato sul mercato di gennaio.

Dal ciclone alla valanga. Una valanga di reazioni hanno scatenato le parole di Capello a Sky che ha detto a Esposito “non fare come Zaniolo”. In studio hanno cercato di camuffare pateticamente, “é vero, Zaniolo è andato alla Roma dall’Inter”, ma quello che è sfuggito a Capello era abbastanza chiaro e si riferiva ad altro. Ovvio. Evidentemente Zaniolo non ispira simpatia, ma questa è un’altra caduta di stile. Non mi sembra che Zaniolo abbia fatto cose così gravi…Anzi, ieri sera ha risposto con un altro gol...

Sezione: Calciomercato / Data: Ven 25 ottobre 2019 alle 08:00 / Fonte: di Enzo Bucchioni
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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