Il fascino del calciomercato. Come un campionato. Qui si gioca per tre mesi, sul manto erboso per nove. Le regole sono quasi le stesse e, se lunedì scorso l'Inter sembrava alla fine del girone di andata sotto di 10 punti, dopo sette giorni ha ripreso punti, stima e si è portata dalla sua parte tutti i tifosi scettici che non credevano più nell'arrivo di top player. In una settimana è cambiato tutto e a Marotta va dato atto di aver tirato fuori il meglio del repertorio, soprattutto l'esperienza e il cinismo, quando si è trattato di chiudere Lukaku che, nonostante le dichiarazioni di facciata, ha iniziato a giocare su due tavoli. Il gioco è durato poco ma Marotta ha piazzato un colpo importante sfidando e battendo il rivale/figlioccio Fabio Paratici. Perché quando si interrompono questi rapporti personali, la sfida non è più solo professionale. Marotta si è infuriato per lo scherzetto che aveva preparato Paratici e, allora, ha tirato fuori i cannoni. Sceso in campo Zhang, l'operazione Lukaku si è chiusa in 48 ore. Colpo da maestro. Con una sola palla ha buttato a terra tutti i birilli. Ha fatto felice Conte che, finalmente, ha avuto ciò che gli spettava, i tifosi sono impazziti, la proprietà non ha strapagato l'attaccante belga perché chiuso nelle ultime ore del mercato inglese (certo si sarebbe potuto fare anche dopo l'uscita ma l'Inter è stata brava ad arrivare sotto data) ma soprattutto ha rovinato tutti i piani alla Juventus che, oltre a Lukaku, in entrata avrebbe smistato un bel po' di uscite. Sarebbe dovuta essere la settimana di Fabio, ma è stata quella di Beppe. Dentro Lukaku, fuori Perisic.
A giorni chiuderà anche Dzeko e, allora, davvero per essere perfetti in questa sessione estiva di calciomercato servirà prendere una mezzala e non svendere Icardi. Poi andiamo sotto la nuova sede (bella) dell'Inter e facciamo dieci minuti di applausi a Marotta. La battaglia è andata all'Inter, la guerra però non è finita e - come dicevamo - in sette giorni può cambiare tutto. La Juventus si è incartata sulle cessioni. Acquistare è difficile ma cedere lo è di più. Fare sei uscite senza svendere o regalare non sarà facile anche perché il tempo stringe e, come volevasi dimostrare, l'alleato di tutti i club italiani è il 2 settembre come data di chiusura di sessione. Come può recuperare Paratici per vincere la guerra? Non cedendo Dybala all'Inter, prendendo senza strapagare Icardi e piazzando - oltre all'argentino ex Palermo - anche Higuain e Mandzukic. E, se proprio vogliamo, andandosi a prendere Milinkovic Savic a casa Lotito. Non sarà facile. Tutti pensano allo scambio Icardi-Dybala ma - per come si sono messe le cose tra padrino e figlioccio (ex) - ci risulta complicato pensare ad un tavolo tra Inter e Juventus. Inoltre Zhang, mesi fa, disse: "Icardi mai alla Juventus", Agnelli settimana scorsa ha ribattuto "Dybala mai all'Inter". Come fare a non credere a due Presidenti così importanti che non possono permettersi di fare giochini e teatrini? Staremo, comunque, a vedere. Nel frattempo dopo Ferragosto parte il cinema pesante con tanti big con la valigie già pronte da mesi.
Sembrerà strano ma chi sta lavorando con intelligenza è il Milan, seppur consapevole di non poter partecipare ad aste impossibili. Sta aspettando che si abbassi il prezzo di Correa e nel frattempo non scende a ricatti per svendere i suoi gioielli. Giampaolo, nel silenzio, sta lavorando bene. Certamente dobbiamo ricordarci che parliamo sempre in chiave obiettivo stagionale e quello dei rossoneri non va oltre l'accesso alla prossima Champions League. Il Milan resta dietro a Juve, Inter e Napoli; questo, ad oggi, è un dato di fatto. Il Milan non ha venduto bene Cutrone ma adesso deve vendere bene Suso, partendo dal presupposto che se si cede sarà solo perché non è un trequartista ma un esterno di attacco. Chi rischia di far fatica è Piatek, cecchino d'area di rigore, ma Giampaolo gli chiede di giocare anche fuori dall'area, non proprio una sua specialità, e spesso o arriva tardi alla conclusione o arriva scarico.
Nel frattempo siamo bravi sempre a riempirci la bocca che all'estero c'è qualcuno più bravo di noi e i modelli sono sempre altrove. Poi quelli che abbiamo in casa non li consideriamo perché non fanno notizia, nemo propheta in patria. Prendete il caso del Sassuolo. Ormai la consideriamo una realtà consolidata del nostro calcio, un po' come l'Udinese, quindi diamo tutto per scontato. Un giorno poi arriverà ESPN dagli Stati Uniti, ci farà un documentario e, allora, tutti diremo "ma avete visto che hanno fatto a Sassuolo...?" Conosco questo paesino per due ragioni e mi è entrato subito nel cuore. Nel 2005, quando Sportitalia mi fece fare i provini a Milano, scendendo mi fermai a Sassuolo perché in C2 giocava un mio amico, ex Avellino, Marco Vianello. Era il Sassuolo di Remondina. In attacco Masucci, Sforzini, Vianello. Il capitano era uno del posto, un folle ma fortissimo. Come si chiama? E chi si ricorda... Terzino un napoletano con i capelli rossi, lo chiamavano il pitbull. Se non sbaglio in porta c'era Pomini. Dissi al mio amico "ma dai, ma dove giochi?" Vedevo gli allenamenti ma era un paese piccolo che mai avrei creduto potesse fare un miracolo del genere. Il paese è rimasto piccolo, accogliente, con gente sana. Conoscevo Sassuolo anche perché a 100 metri dal Ricci abita un ex Producer di Sportitalia. E chissenefrega... Poi questo piccolo paesino, nelle mani di un grande imprenditore e di ottimi dirigenti, è diventata una colonia del calcio italiano, dove la Juventus prende Demiral, il Barcellona fa affari con Sassuolo e da piccola realtà si è trasformato in laboratorio calcistico. L'esplosione in due fasi: quando finalmente vinse il maledetto campionato di serie B e adesso. Oggi perché c'è una triade perfetta che si completa come un puzzle della scimmia George. Giovanni Carnevali è la mente, quello che amministra, quello che fa la politica molto meglio dei finti politici del pallone. Esperienza di marketing ma, da subito, si è calato perfettamente nella parte del manager calcistico. I risultati si vedono. Il centro sportivo appena inaugurato, lo stadio di proprietà anche se in un'altra città, ma sempre con un occhio di riguardo al territorio. Perché a Sassuolo non sono mica scemi e non capiscono perché ogni anno le finali Primavera, con grande visibilità, si disputino sempre al Ricci. Un regalo alla comunità. Poi c'è Giovanni Rossi, Direttore Sportivo, il quale ha finalmente trovato a Sassuolo la sua dimensione. Può esprimersi al meglio e può fare quello che dovrebbe fare un DS. Occuparsi della squadra e del mercato in linea con l'allenatore. A Cagliari aveva le mani legate e non poteva dimostrare quello che era il suo reale valore. In chiusura la mano dell'allenatore. La mano perfetta di un mister che arriverà dove merita perché oggi De Zerbi non ha nulla a che invidiare a Giampaolo, Sarri e Conte. De Zerbi è il vero nuovo che avanza ma, al contrario di suoi colleghi, una volta arrivato in cima guarda sempre sotto e non si dimentica da dove è arrivato. Non fa il fenomeno e non guarda con la puzza sotto il naso i campionati minori che gli hanno dato la possibilità di fare esperienza. Serie D e serie C. De Zerbi non è solo allenatore ma anche scopritore di talenti, grazie alla sua malattia di guardare partite di tutti i campionati e di tutti i Paesi: l'ho spesso trovato sui campi di serie D... uno così non può non fare carriera!
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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