Udine, primo novembre. Il cielo è pesante come il morale della Dea. Piove quel tanto che basta per rendere malinconico anche il più ottimista dei tifosi. Non fa freddo, ma lo si avverte nell’aria: un inverno che arriva piano, proprio come il gelo che ha investito l’Atalanta. Il ponte di Ognissanti, per chi tifa nerazzurro, non porta relax ma riflessioni amare. La squadra di Ivan Juric perde per la prima volta in campionato, ma più che la sconfitta preoccupa la maniera. Perché contro l’Udinese, che aveva la peggior difesa del torneo, l’Atalanta non ha mai tirato in porta. E nel calcio, se non provi a segnare, non vinci nemmeno per caso.
LA PEGGIOR PRESTAZIONE DELL’ANNO – Dopo un mese di pareggi e rimpianti, ecco il punto più basso. Una prova piatta, spenta, quasi rassegnata.
L’approccio mentale è stato fiacco, la qualità tecnica drammaticamente bassa. Juric ha cambiato uomini e modulo, ma non l’anima. L’Atalanta, in dieci partite, ha perso brillantezza e convinzione, come se qualcuno avesse premuto il tasto “pausa” su un progetto che doveva crescere e invece sembra regredire. Il gol di Zaniolo — l’unico vero lampo della partita — è solo la conseguenza di una squadra che non ha mai saputo reagire. L’Udinese ha vinto con merito, l’Atalanta ha perso con colpe. E non solo perché ha concesso troppo: soprattutto perché non ha proposto nulla.
CORSA E IDEE: IL DOPPIO FALLIMENTO – Le statistiche non mentono mai. I friulani hanno corso 118 chilometri, i nerazzurri appena 111. Ma non è solo una questione di quantità: è di qualità. L’Udinese correva con senso, l’Atalanta arrancava senza direzione.
Il tema tattico, in questo, è centrale. Juric ha insistito sulla difesa a tre, ma la mossa ha finito per esporre i centrocampisti a un duello impari. Atta e Karlström hanno dominato il cuore del campo, lasciando Ederson e Pasalic in costante affanno.
L’unico dato positivo — la costanza con cui il portiere Carnesecchi evita risultati peggiori — è anche la più triste delle conferme: quando il migliore è chi difende, significa che chi attacca non esiste.
JURIC, DIALOGHI SENZA RISPOSTE – In panchina si è vista un’immagine simbolica: Juric e Matteo Paro continuamente a colloquio, quasi a cercare insieme la chiave smarrita. Discussioni lunghe, sguardi preoccupati, gesti che tradiscono nervosismo. È un’immagine di confronto, certo, ma anche di smarrimento. Il tecnico croato non è mai apparso così incerto. «È stata una prestazione negativa in tutto», ha ammesso. Frase onesta, ma impietosa. Perché oggi la Dea non è solo una squadra che non vince: è una squadra che non sa più come si fa.
La speranza è che il dialogo con il vice si traduca presto in risposte concrete, altrimenti si rischia che la “democrazia” tattica diventi confusione.
MARSIGLIA E SASSUOLO, LE DUE PORTE DEL DESTINO – Ora il tempo stringe - rimarca Il Corriere di Bergamo -. Nel giro di otto giorni arriveranno Marsiglia in Champions e Sassuolo in campionato, due gare che pesano come macigni sul futuro del tecnico e della squadra. L’Atalanta deve ritrovare se stessa: il coraggio, il pressing, la verticalità, quella fame che per anni l’ha resa un unicum nel panorama europeo. Non è tardi, ma ogni giorno perso accorcia l’orizzonte.
Perché una stagione che doveva essere di consolidamento rischia di diventare un lento smarrimento. E da quel tipo di inverno, spesso, non si esce più.
IL RISVEGLIO O IL DECLINO – A Udine è caduto un velo: quello dell’imbattibilità, ma anche quello dell’illusione. L’Atalanta non è più una squadra “che non perde mai”, è una squadra che non vince più. Il quarto posto è a cinque punti, ma sembra molto più lontano. Juric è di fronte al momento più difficile della sua avventura bergamasca: deve scegliere se reagire o lasciarsi travolgere.
Marsiglia potrà essere l’inizio della risalita o il punto di non ritorno. Perché dopo Udine, il dubbio non è più se l’Atalanta tornerà a vincere. Il dubbio, oggi, è se saprà tornare a essere sé stessa.
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Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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