Ventisette gol in 95 presenze, una promozione da capocannoniere e un legame con la piazza che resiste al tempo. Marco Pacione non è solo un doppio ex delle prossime sfide dell’Atalanta contro Genoa e Verona: è un pezzo di storia nerazzurra. Arrivato a Bergamo giovanissimo, ha vissuto l'epopea della rinascita negli anni '80, trasformandosi da promessa aggregata alla prima squadra in bomber implacabile. Oggi, dopo una lunga carriera dirigenziale al Chievo, è direttore sportivo del Vigasio in Serie D, ma il cuore batte ancora per la Dea. In questa nostra intervista, Pacione riavvolge il nastro dei ricordi e analizza il presente, tra la "cura Palladino" e le insidie delle sue vecchie squadre.
Marco, facciamo un salto indietro: come arriva il giovane Pacione all’Atalanta?
«Ero un giovane talento abruzzese, giocavo nel River Chieti, una società dilettantistica con cui vinsi il Campionato Nazionale Allievi - racconta, in esclusiva, ai microfoni di TuttoAtalanta.com -. A notarmi fu un grande uomo di calcio: Pizzaballa. Avevo solo 17 anni quando decisi di fare le valigie e trasferirmi a Bergamo, a 700 km da casa. Fu una scelta coraggiosa, ma i miei genitori mi sostennero sempre, permettendomi di inseguire un sogno che, a quei tempi, non era così scontato realizzare».
L'impatto con la città come fu? Si sentì subito accolto?
«Vissi per tre anni e mezzo alla Casa del Giovane. Fu un periodo formativo fondamentale, non solo calcisticamente ma umanamente. Lì ho stretto amicizie che durano tuttora; ogni anno ci ritroviamo con molti ex compagni. Recentemente, su invito di Gianpaolo Bellini, abbiamo visitato le strutture rinnovate di Zingonia: è stato emozionante. In quell’occasione siamo andati a pranzo al ristorante “Da Pacio”, a Spinone al Lago, e ho scoperto con sorpresa che il locale è stato chiamato così proprio in mio onore».
È stato ospite alla festa per i 118 anni della Dea. Che effetto fa sentire ancora questo calore?
«È stato bellissimo. Sentire l’affetto dei tifosi a distanza di decenni è un onore indescrivibile. Mi rende orgoglioso aver fatto parte della storia di questo Club, specialmente ora che è diventato una realtà di livello europeo».
Sono state stagioni in cui lei ha dato tanto alla causa nerazzurra...
«Anni indimenticabili. Ho fatto parte di un gruppo rimasto nella memoria collettiva: Donadoni, Magrin, Magnocavallo, Gentile, Soldà. Una squadra che ha riportato l’Atalanta in Serie A dopo anni difficili e che i tifosi ricordano ancora con grande nostalgia».
Tra l’altro fu protagonista assoluto di quella promozione, con 15 gol e il titolo di capocannoniere.
«Capocannoniere della Serie B e promozione al termine di una cavalcata trionfale. Sì, è un traguardo di cui vado ancora molto fiero».
È questo il ricordo più dolce in nerazzurro?
«Sicuramente è uno dei più belli per il clima fantastico che si era creato, ma tutto quel periodo è stato magico. Arrivai in prima squadra giovanissimo, vivendo la promozione dalla C1 alla B insieme a Roberto Donadoni come aggregato. Poi i due anni in B e infine la Serie A, con una rosa composta per nove undicesimi da esordienti nella massima categoria, guidati da Nedo Sonetti. Un'avventura straordinaria».
Ricorda l’esordio?
«Dopo la parentesi in Coppa Italia di C1, il vero debutto arrivò in Serie B nel gennaio 1983, in casa contro la Lazio. Eravamo in difficoltà e mister Ottavio Bianchi mi diede fiducia. Fu una sorpresa, ma mi buttai nella mischia senza pensare troppo. Procurai il rigore che Lino Mutti trasformò per l'1-1 finale. Un pareggio prezioso in un momento delicato. Resta uno dei ricordi più vividi della mia carriera».
E il gol a cui è più legato?
«Ce ne sono tanti. Ricordo con piacere quello segnato alla Fiorentina di Socrates e Passarella, una corazzata. Ma forse il più significativo fu l’1-0 al Milan di Baresi ed Evani nella stagione 1982-83: un tuffo di testa su calcio d’angolo di Magrin. Un gran gol, anche se la partita finì 2-2».
In attacco faceva coppia con Stromberg. Era tutto più facile con lui?
«Glenn è stato un giocatore straordinario e un amico vero, a cui sono rimasto legato anche dopo il ritiro. Ricordo che a fine campionato raggiunsi lui e Larsson in Svezia per le vacanze. In campo eravamo molto affiatati, ci capivamo al volo».
Veniamo all'attualità e al suo passato da doppio ex. Cosa ricorda degli anni al Genoa?
«Quella squadra, guidata da Bagnoli, aveva campioni come Skuhravý, Aguilera ed Eranio. Raggiungemmo risultati storici, arrivando quarti in campionato: probabilmente la miglior stagione del Grifone negli ultimi cinquant'anni. Aver fatto parte di quel gruppo è un motivo di orgoglio che porterò con me per tutta la vita».
La sfida di Coppa Italia conta di più per l'Atalanta o per il Genoa?
«È una gara cruciale per entrambe, ma forse pesa di più per l'Atalanta. Ormai a Bergamo la Coppa Italia è considerata un trofeo prestigioso, anche perché apre le porte dell'Europa. Quando giochi a certi livelli, alzare una coppa conta eccome. Il Genoa ha altre priorità, ma non regalerà nulla».
Quali sono queste priorità?
«Il Genoa punta innanzitutto alla salvezza. L’Atalanta, invece, ha raggiunto uno status tale da poter ambire alla vittoria finale del trofeo. La concorrenza è forte, ma la società è matura per questi traguardi».
E in campionato?
«L'obiettivo nerazzurro resta l’Europa. Dopo aver vinto un trofeo continentale straordinario e aver frequentato i palcoscenici internazionali per anni, la dimensione dell'Atalanta è ormai quella. Il suo posto è lassù».
Che partita si aspetta contro il Grifone?
«Ostica. Il Genoa è storicamente un avversario rognoso. L’ho visto contro il Verona: ha mostrato carattere ribaltando una situazione difficile. Con l'arrivo di De Rossi hanno ottenuto due pareggi e una vittoria, segno che la squadra è viva. La rosa dell’Atalanta è tecnicamente superiore, ma partite così non sono mai scontate».
Genoa e Atalanta hanno cambiato guida tecnica. De Rossi e Palladino: chi ha inciso di più finora?
«È presto per dirlo, serve tempo. De Rossi ha dato subito una fisionomia precisa al Genoa: squadra combattiva che non molla mai, a sua immagine e somiglianza. Palladino è giovane e ha idee chiare: vuole imporre il proprio gioco. Vedo un’Atalanta che, col tempo, esprimerà un calcio organizzato e divertente».
L'avvio dei nerazzurri però è stato faticoso. Se lo aspettava?
«I risultati iniziali non sono stati quelli sperati, ma ci tengo a dire che consideravo Juric un valido allenatore. Lo vedevo come il naturale prosecutore dell'era Gasperini, essendo un suo allievo con idee simili. Le cose non sono andate, ma ora c'è Palladino: ha qualità e ha già dimostrato il suo valore. Sono convinto che farà bene a Bergamo».
Dopo la Coppa, ci sarà il Verona. Altra tappa del suo cuore.
«Verona è la città dove vivo da quarant’anni e una tappa fondamentale della mia carriera. Ho indossato la fascia di capitano, siamo arrivati quarti e abbiamo raggiunto i quarti di finale di Coppa UEFA, sfidando colossi come Barcellona e Borussia Dortmund. Un'epoca in cui in Europa ci andavano solo le migliori vere».
Il Verona è ancora a secco di vittorie dopo 13 giornate. Come la vede?
«Sono preoccupato. Ho visto la gara col Genoa e la situazione è critica. Erano partiti con entusiasmo e buon gioco, ma la mancanza di risultati ha spento la luce e minato la fiducia. La qualità tecnica non è eccelsa e ora vedo una squadra in grande difficoltà. Ribaltare una stagione così compromessa è durissima, anche se nel calcio mai dire mai. Ci ho lasciato un pezzo di cuore, spero si riprendano».
Sabato c'è Verona-Atalanta al Bentegodi. Pronostico chiuso?
«Attenzione, il Bentegodi non è mai una passeggiata. È un fortino storico. Sulla carta l'Atalanta è superiore, ma se pensa di andare a fare una gita sbaglia di grosso. Il pubblico di Verona fa la differenza: contesta se serve, ma spinge la squadra fino al novantesimo. Sarà una battaglia».
Per Marco Pacione l’Atalanta resta il primo amore che non si scorda mai. Ma il calendario mette di fronte il suo passato e il suo presente: Genoa e Verona. Tre città, tre maglie, una sola certezza: per il bomber abruzzese, il cuore resterà diviso a metà, ma l'orgoglio di aver scritto la storia a Bergamo ha un sapore unico.
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