Un commercialista romano, amministratore delegato di un gruppo londinese che si occupa di consulenza alle società calcistiche (la Sfp - Scouting and football placament), con la Svizzera e il suo calcio sempre nel cuore e un interesse – che tuttavia attualmente pare raffreddato per non dire sfumato - per il Venezia, gloriosa società che attualmente milita in serie D. Stiamo parlando di Flavio Ferraria ed è colui al quale si può far calzare a pennello la definizione di “esterofilo” a 360 gradi.
Una passione per il football suisse nata nel 1970 e sempre più accesa fino a far maturare esperienza ed amicizie tali da farlo entrare nel 2003 nel FC La Chaux-de- Fonds (cittadina a 40 km da Neuchatel). In 5 anni, prima da direttore generale e poi da presidente, Ferraria porta il club ad un passo dalla serie A prima di decidere di passare la mano. Il fiore all’occhiello si chiama invece Johan Djourou perché è stato proprio il manager italiano a portare all’Arsenal il forte difensore dei Gunners e della nazionale rossocrociata.

Da dove nasce l’idea di legare il brand della città a quello della squadra?
Oggi il calcio non è fatto solo dagli undici che scendono in campo bensì da tutta una serie di componenti extra calcistiche che consentono ad un club di essere gestito come un’azienda e come tale di avere un profitto.
Una stagione sportiva può cambiare per un episodio e non è giusto che il destino di un club dipenda da essa, per questo è necessario costituire una rete di aziende che garantiscano alla società altri introiti sostanziosi che non si limitino alla semplice compravendita dei giocatori.
Certo, non è facile perché deve essere creata una situazione ed un contesto ad hoc ma pensare che città come Venezia, Roma o, anche se ovviamente in maniera minore, Bergamo leghino il proprio nome al team locale può portare grandi benefici

Un contesto ad hoc può fare in parte rima con “stadi nuovi”?
Certamente, in Italia le strutture sono ormai desolatamente vuote e per larga parte inadeguate e fatiscenti. Penso invece a quello che ho visto nel corso della mia esperienza in Svizzera, a Neuchatel in particolare: un impianto da 12.500 posti, un vero goiellino, con centro commerciale, 5 piani per parcheggiare le auto e tutta una serie di servizi correlati per garantire una funzionalità sette giorni su sette e di conseguenza introiti importanti per la sopravvivenza del club. Questo è il futuro del calcio e anche in Italia lo si deve capire, tanto che prima lo si fa e meglio è.

Dunque s’investe nel territorio in quanto si è toccato un punto di non ritorno?
La situazione è sotto gli occhi di tutti. Non bastano più marketing e merchandising, ci vuole molto di più. Per questo, a mio avviso, le amministrazioni comunali dovrebbero spendersi affinché si instauri una sinergia sempre più profonda con la società di calcio cittadina. In questo modo si può far nascere un vero proprio marchio anche – perché no – da esportare nel mondo e dunque avere un enorme ritorno d’immagine con annessi e connessi.

E come giudica invece il modello di gestione adottato dal St. Pauli?
Lo seguo con simpatia e curiosità, ma l’azionariato popolare, che in un club tedesco funziona molto bene a giudicare dai risultati (il St. Pauli milita in Bundesliga ndr), ritengo sia di attuazione impossibile nel nostro paese. Può magari essere una soluzione per qualche piccola società, ma sempre su un piano ipotetico, nulla più

E quanto all’interesse per il Venezia?
La verità che indipendentemente da ciò che viene scritto, abbiamo fatto un sondaggio, ma al momento di intavolare un’eventuale trattativa non si è fatto vivo più nessuno, tanto che sto ancora aspettando una risposta. Perché ahimè uno dei problemi del calcio di oggi è da ricercare in chi sta a capo delle società.

Sarebbe?
Come detto in precedenza, con i club chiamati a diventare sempre più nelle vere e proprie aziende essi devono essere tali in tutto e per tutto. Non basta avere un occhio di riguardo per l ’aspetto prettamente sportivo, ma bisogna averlo altrettanto per la gestione e affidarsi dunque a grandi professionisti in grado di assicurare un utile, unico e inequivocabile segnale che tutte le componenti hanno svolto a pieno il proprio dovere.
Purtroppo però accade che i presidenti rilevino le società spinti principalmente dal proprio interesse personale senza pensare ad altro. Prendiamo Claudio Lotito che prima era semplicemente un imprenditore romano, ma che oggi la stragrande maggioranza della gente identifica unicamente come il numero uno della Lazio. Ma questo è solo un esempio, se ne potrebbero fare molti altri.

Di cosa si occupa invece la Sfp (Scouting and football placament) della quale lei è attualmente amministratore delegato?
Siamo un gruppo con sede a Londra che si occupa di consulenze a tutto campo presso le società calcistiche. Che siano esse fiscali, immobiliari , scouting oppure in appoggio ai calciatori stessi.

E proprio in questa parte si colloca la vera “perla” firmata Ferraria…
Non voglio vantarmi, anche perché non sono e non voglio essere un procuratore, però sono quello che ha scoperto Djourou e ha avuto il merito di portarlo all'Arsenal come lui stesso scrive sul suo sito. Era il 2002, lui aveva 15 anni e giocava nell'Etoile-Carouge FC (club di seconda divisione svizzera) nel ruolo di centrocampista, l’ho segnalato e pochi mesi dopo ha firmato un contratto con le giovanili dei Gunners per diventarne ufficialmente un giocatore il 1° agosto 2003.

Il calcio italiano, per scelta o per necessità, sembra aver ripreso ad avere un occhio di riguardo per il settore giovanile. A tal proposito va citato il modello Arsenal che lei conosce molto bene…
Potremmo definirlo tanto semplice quanto efficace. Anche se ultimamente non sta raccogliendo risultati di grandissimo prestigio, Wenger lo scorso anno ha portato ai quarti di Champions League, aver eliminato la Roma negli ottavi, una squadra giovanissima la cui età media si attestava sui 24 anni. Questo vuol dire lavorare sui giovani, chissà quando vedremo una squadra italiana seguire tale politica e ottenere qualcosa d’importante.
Il modello dei Gunners si snoda in tre step: si parte da una rete di osservatori, ognuno con una propria area di competenza, che attraverso dettagliate relazioni ad un coordinatore segnalano i giocatori. Quando un ragazzo viene ritenuto all’altezza, allora il coordinatore stesso si muove per visionarlo e dare un giudizio. In caso che esso sia positivo allora tutto passa nelle mani del responsabile del settore giovanile che, dopo aver testato a sua volta in prima persona le potenzialità del prescelto, è colui che mette la parola decisiva per l’inserimento nel vivaio.
 

Sezione: Altre news / Data: Gio 18 novembre 2010 alle 16:00 / Fonte: Nerazzurro - Allo stadio in vista di Atalanta-Crotone
Autore: Federico Errante
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