Ciao. Il dramma della pausa per la nazionale è che porta con sé molti effetti collaterali a contorno. Il primo è che tutti quelli che parlano di calcio si ritrovano spaesati, non sanno che dire, e allora pur di non ritrovarsi senza opinioni esprimono il loro giudizio su altri argomenti: la guerra in Siria (“non si fa, non è giusto, sì ma però, cioè bisogna capire, è uno schifo, bisogna prendere provvedimenti, vergogna!”), il film Joker (“è molto bello!, sì ma senza Gioacchino Fenice non varrebbe niente, sì ma Gioacchino Fenice c’è, sì però che angoscia, io preferisco il Re Leone tenerone, vergogna!”), la maglia verde della Nazionale (“troppo verde, volendo sembra azzurra, bella, brutta, vergogna!”), il logo di Italia Viva (“ma che roba è?, pare lo spot del Tena Lady, ma si può?, vergogna!”) e così via.
Parecchio snobbata, purtroppo, l’opzione “c’è la pausa per la Nazionale, invece di dire la mia su ogni cosa ne approfitto per raccogliere i maroni nei boschi, così risparmio diversi quattrini essendo la castagna da sempre molto cara”.
Va così, “ce piace de chiacchierà”. E allora chiacchieriamo ben sapendo che nulla di interessante può venir fuori in regime di sosta per la nazionale, a meno che non si tratti di notizie e indiscrezioni buttate là, se non addirittura palesemente inventate. Cose tipo “Inter su Petagna!” che tu le leggi e magari nascondono pure un barlume di credibilità, ma più che altro suonano come affrettate sentenze per il buon Lukaku (“ha assolutamente bisogno di un vice perché non è adatto!”) e sono decisamente poco rispettose nei confronti di chi, con Petagna, spera di costruirci una salvezza (cioè, chi l’ha detto che a Ferrara son lì a disposizione?).
L’altra cosa che ci lascia in eredità la pausa per la Nazionale è la certezza dell’infortunio. Non si sa quale sia la magia che circonda amichevoli e ritiri vari, ma puoi star certo che se vai in Nazionale prima o poi ti farai male, magari non capiterà questa volta ma la prossima ti tocca: i ritiri sono delle brutte bestie.
Questa volta è capitato all’Inter, si è fatto male Sanchez (e, per cortesia, evitiamo di dire puttanate su “Cuadrado cattivone infamone”), si è fatto male D’Ambrosio (ma ce n’è per tutti: da Zapata a Medel, fino a Chiriches). Sono mazzate e non c’è neppure bisogno di spiegare il perché (in realtà non abbiamo voglia di inventarci qualche tesi tipo “Sanchez era fondamentale perché…” o “Senza D’Ambrosio sono cazzi perché…”). Il dato di fatto è che Conte è stato chiaro: “Io penso che credere non costi niente, per i tifosi dell’Inter, Napoli e le altre squadre. Poi bisogna essere obiettivi e guardare la realtà. Mi sono espresso fin dall’inizio, rispetto a noi ci sono due squadre, Juventus al top e poi anche Napoli, che hanno costruito di più negli anni. Questo gap c’è, ma noi abbiamo iniziato un tipo di percorso attraverso il lavoro e la serietà per progredire nel tempo e diventare competitivi per dare soddisfazioni ai tifosi. Da questo punto di vista bisogna essere coraggiosi avendo una visione chiara del presente. Dobbiamo lavorare ma senza porci dei limiti. Dobbiamo essere realisti ma consapevoli che possiamo cambiare il corso del destino”. E voi direte: perché hai incollato tutta questa pappardella piuttosto retorica? Per allungare il brodo, lo ammetto.
Due balle di Nazionale, già che ci siamo: l’Italia sta facendo ottime cose, è vero. Oggi rischia di eguagliare il record targato Pozzo di 9 vittorie consecutive, è vero. Mancini ha preso in mano una selezione allo sbando, sfiduciata, ha detto “punto sui giovani” e ci sta riuscendo, è vero. Abbiamo raggiunto l’obiettivo Euro 2020 con ben tre turni di anticipo, cosa non banale anche in un girone facile, è vero. Il resto del mondo è tornato ad accorgersi di noi, spende belle parole, sanno che non siamo i più forti della galassia ma restiamo pur sempre i quattro volte campioni del mondo e, quindi, “per la vittoria a Euro 2020 ci sono anche i redivivi azzurri”, è vero. È tutto tremendamente vero ed è bello tirarcela un po’, del resto abbiamo inghiottito amaro per anni. Però attenzione, occhio a non esagerare. Siamo solo all’inizio di un percorso che ci ha riportato fuori dal guano ma che allo stesso tempo è stato agevolato da un girone e una formula parecchio accomodanti. Stiamo facendo benissimo, ma al momento conta zero. La differenza toccherà farla a primavera inoltrata, in quel mese là, quello dove tutto deve filare per il verso giusto. Ecco, l’Italia sta lavorando sull’idea di gruppo e ben fa: è il modo migliore per non farsi fregare da chi ora “esalta a prescindere” e al primo passo falso dirà “beh, tutto qua?”.
Ci vuole prudenza anche nel giudicare De Ligt: “Ho bisogno di tempo e lavoro, all’Ajax mi sentivo invincibile ora non più”. Non male per un ragazzo pagato una caterva di milioni ma che conserva l’umiltà di ammettere i propri limiti: è il segreto per crescere e alla Juve sanno insegnarlo bene. Chi passa il tempo a sottolineare ogni errore del difensore sembra proprio un “gufo”.
E chiudiamo sul Milan, su Pioli, sul fatto che son tutti abbastanza incazzati, compreso l’ex presidente Berlusconi. Partiamo da lui, furioso per le parole di Gazidis e la faccenda “serie D”. Si può capire il fastidio di chi in 30 anni ha vinto tutto, meno quello di chi non capisce il momento. Gazidis sbaglia a puntare il dito sul passato (è il classico gioco dello scaricabarile), Berlusconi sbaglia nel fingere di non sapere che questa situazione è anche conseguenza di quel che è capitato ai tempi della “cessione cinese”.
E quindi Pioli, quello che arriva e riceve sputazzi a caso. La cosa sembra non averlo turbato più di tanto, del resto è la sua grande prerogativa: mantenere la calma nel mare in burrasca. La scelta del Milan è corretta, sbagliata al limite nelle modalità (non puoi far intendere di volere Spalletti e poi virare “perché il toscano non si libera”) ma corretta. Pioli è l’allenatore giusto, ma bisogna capire a far cosa. Se la società gli ha chiesto “ordine in campo alla ricerca della miglior classifica” avrà risposte da subito; se invece il diktat è “a noi interessa soprattutto che i giovani acquisiscano valore” allora il rischio che anche lui si incarti è concreto. Il problema non è l’allenatore (o non solo), ma una proprietà che ha deciso di vedere il Milan unicamente come un’azienda in difficoltà che deve tornare a galla con la politica “giovane”, con i tagli, con le plusvalenze e comunque a prescindere dal campo. Solo che il Milan non è un’azienda di frigoriferi, non lo è mai stata e del campo non se ne può fottere, soprattutto per rispetto della sua gente. E di mio padre, grande milanista dal 1936 che l’altro giorno mi ha detto “sono arrivato al punto che chiedo io a tua madre di andare all’Ikea per paura di vedere il mio Milan”. Tutto questo è molto ingiusto.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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