Spazio ai giovani dietro alle scrivanie come in campo: il calcio ha bisogno di facce nuove e persone qualificate che diano nuovo slancio al movimento italiano”. Malu' Mpasinkatu, primo direttore sportivo d’origine africana diplomatosi a Coverciano, laureato in Scienze Politiche, esperto di mercato, giornalista e opinionista televisivo si racconta in questa intervista

Malu, lei è stato il primo d.s. di origini africane diplomato a Coverciano
E’stata dura, ma allo stesso tempo un grande motivo d’orgoglio. Ancora non mi sento realizzato, sto procedendo per step per poter raggiungere prima la serie B e poi la A, ma oggi si fa fatica ad imporsi nel calcio in quanto è un mondo ancora troppo ovattato in cui talvolta gli “amici degli amici” la fanno da padrone per cui è dura farsi strada.
Mi sono diplomato al corso nel 2004 poi ho maturato esperienze importanti tra cui ricordo in particolar modo quella con il Cesena, per il quale sono stato collaboratore del mercato estero e quella con la squadra di Gheddafi, AL Ittihad. Ora mi piacerebbe ripartire magari dalla Lega Pro ma facendo il vero e proprio d.s.

Anche perché la “prima volta” non è stata molto fortunata…
Purtroppo no, a Catanzaro in Seconda Divisione della Lega Pro sono stato solo pochi mesi. La categoria è difficilissima per tutti, soprattutto per chi vi deve lavorare poiché le difficoltà e gli ostacoli da superare sono davvero tanti. Non è però una questione geografica in quanto la Pro Patria sta incontrando problemi analoghi. In realtà è proprio il sistema della Lega Pro da rivedere e riformare. Per ora io sono alla finestra e continuo a tenermi aggiornato in attesa che arrivi l’occasione giusta.

Lei comunque attualmente è direttore sportivo di tutte le squadre maschili e femminili del Congo…
Un’esperienza bellissima. Sto cercando di portare nel mio paese quanto ho imparato qui dal punto di vista dell’organizzazione dei club poiché la programmazione italiana consente di sfornare manager davvero validi

Come si è avvicinato a questa professione?
Ho sempre avuto una grande passione. Sono cresciuto a Mondovì, in provincia di Cuneo e giocavo in una squadra dilettantistica. Ad ogni fine partita chiedevo i numeri di telefono di casa ai giocatori più forti di quella avversaria visto che allora non esistevano ancora i cellulari ed ad inizio della stagione successiva li contattavo per farli venire a giocare con me. Sono arrivato fino all’Interregionale , nei primi anni Novanta gli osservatori della Juve “pescavano” molto nel piemontese purtroppo però ero nella fase della crescita e le mie ginocchia non supportavano il peso del corpo. Poco dopo, sempre nella mia zona, è stato preso Enrico Fantini che ha esordito in A nella stagione 94/95, l’anno del primo scudetto della Juventus di Lippi e poi ha fatto una discreta carriera. Soprattutto i primi tempi era lui a dirmi di non mollare, per me i rimpianti sono stati enormi, ma lì ho capito ancor di più che sarei voluto restare nel mondo del calcio perché quello era ciò che volevo, in un modo o nell’altro.

E cosi è accaduto..
Si, avevo in testa do fare solamente il direttore sportivo, né procuratore né altro. Per ricoprire un ruolo del genere devi essere, oltre che gran conoscitore di calcio, sociologo, psicologo e saper prendere nel modo giusto tutti gli allenatori con cui hai a che fare. In tal senso vorrei tornare per un attimo sulla parentesi di Catanzaro.

Prego.
I mesi in Calabria sono stati qualcosa di estremamente formativo. In quel periodo peraltro erano appena accaduti i fatti di Rosarno e al mio paese in Congo arrivavano le immagini, dunque si può immaginare quanto fossero preoccupati per me. Invece i tifosi e la gente della città mi hanno accolto subito in maniera strepitosa, mi sono integrato fin dal primo giorno ed è per quello che mi è dispiaciuto tremendamente lasciare l’incarico in una piazza cosi importante che ha voglia di tornare alla ribalta. 

Quanto è importante la qualifica dei direttori sportivi?
A mio avviso basilare sia nei professionisti, ma soprattutto nei dilettanti. Conosco fior di colleghi preparatissimi, ma che non possono esercitare poiché i presidenti delle squadre privilegiano “l’amico dell’amico” senza che la persona abbia le competenze necessarie. In questi aspetti l’Italia, rispetto all’estero, si dimostra ancora un paese anacronistico.

Basta vedere che in alto ci sono sempre i soliti “dinosauri”, in grado di riciclarsi sempre e dovunque pur di avere il potere nelle proprie mani…
Immaginate allora cosa può essere il Congo, in cui spesso basta un decreto governativo per favorire gli interessi di questo o di quel personaggio. Tornando all’Italia però, ci fossero giovani con potere decisionale, saremmo più al passo con i tempi. Nella mia tesi presentata a Coveciano, ad esempio, ho paragonato il sistema italiano a quello francese nel quale i grandi club hanno la squadra B. In essa confluiscono i giocatori fuori rosa, quelli in cerca di condizione ma soprattutto i giovani che, potendosi misurare subito in categorie più alte che non sia la Primavera, acquisiscono immediatamente quelle basi che poi li fanno diventare giocatori appetiti sul mercato internazionale già in giovanissima età
Un monumento del calcio come Lilian Thuram mi raccontava che, giocando nella seconda squadra del Paris Saint Germain a 17 anni, marcava gente come Papin che, pur a fine carriera, rappresentava sempre un banco di prova straordinario. E’ facendo questo tipo di esperienze che poi cresci, diventi smaliziato e a 20 anni sei già un fenomeno.

In campo come dietro la scrivania il discorso è pressoché analogo…
Esatto. Da quando vado alla sede del calciomercato, ormai sono diversi anni, vedo sempre le stesse facce, quelli che ad una certa età magari farebbero meglio a curare i nipotini piuttosto che altre questioni. Va detto che questo mondo ti porta grandi privilegi, ingolosisce e dunque nessuno lo vuole lasciare fino all’ultimo, però è proprio per colpa di questi che manca il ricambio generazionale e i giovani non riescono ad emergere.

Lei è stato definito il “Balotelli dei manager”…
In Italia si va a periodi, adesso c’è la “generazione Balotelli”. Mi fa piacere questa definizione attribuitami anche perché ormai, che si voglia oppure no, l’Italia sta cambiando, sta diventando un paese multirazziale perciò a chi ha qualità e si impegna tanto per raggiungere i traguardi è giusto che i meriti vengano riconosciuti, al di là del colore della pelle.
“Io non sono nato con la camicia ma voglio andare a comprarla”, questo è un mio motto ed è attraverso il lavoro che voglio avere la possibilità di andarla ad acquistare.

Secondo un esperto di mercato quale il grande colpo invernale?
Van Bommel al Milan, giocatore straordinario, un vice-campione del Mondo, vice campione d’Europa, un elemento che a 33 anni ha ancora “fame”. Io vado sempre controcorrente tanto che in estate, quando tutti pubblicizzavano Ibrahimovic, avevo detto che l’affare dei rossoneri era stato Robinho. Semplicemente perché se si ha una conoscenza approfondita del giocatore anche il margine d’errore sulle previsioni circa il suo rendimento si riduce sensibilmente.
Pensare a Pazzini alll’Inter è facile, a patto che Moratti veda in lui il futuro vendendo Milito a giugno, altrimenti Giampaolo, che alla Sampdoria era il “campione”, in mezzo ai fuoriclasse nerazzurri diventa “uno dei tanti” e rischia di perdersi come a Frenze quando aveva davanti Toni e Mutu. Va detto infine che, dopo aver vinto il Mondiale nel 2006, in Italia si è presa l’abitudine di puntare solo sul nome d spicco, come la Juventus con Toni o Barzagli, ma l’”usato sicuro” adesso ha esaurito la sua efficacia


 

Sezione: Altre news / Data: Mer 02 febbraio 2011 alle 12:00
Autore: Federico Errante
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