Un solo giro di corsa agli ottanta: le candeline cominciano a essere tante, ma lo spirito è ancora indomito e i bei ricordi scolpiti a caratteri indelebili nella roccia. Un po' come il suo fisico da gladiatore uscito dalla fame del secondo dopoguerra, che nonostante i soli 172 centimetri (per 80 chili, però) ne fece una sorta di Pietro Vierchowod ante litteram. Lo chiamavano Orsacchiotto, ma quando il fischio dell'arbitro suonava il gong della battaglia Gaudenzio Bernasconi da Ponte San Pietro incuteva tutt'altro che tenerezza. E a temerne la dura tempra da francobollatore implacabile doveva essere soprattutto l'avversario che, secondo i dettami del "sistema", capitava giocoforza dalle sue parti: il centravanti. Perché era un centromediano, il baldo ragazzotto cresciuto sotto casa con la maglia del Vita Nova, proiettato nel calcio che conta dall'Atalanta e diventato la prima grande bandiera della Sampdoria quando l'era Mancini non era nemmeno un'ipotesi. Nell'evoluzione del gioco più bello del mondo dal vecchio "metodo" - che in difesa prevedeva la presenza dei soli terzini, con una mediana a tre immediatamente davanti - verso forme e strategie più moderne, quel ruolo rappresentava la chiave di volta della solidità di qualunque squadra. A chi ne era investito venivano richiesti requisiti ferrei: resistenza allo sforzo, fondo, robustezza strutturale e soprattutto un'applicazione costante sull'uomo, perché con le retroguardie a tre se lo sfondatore nemico oltrepassava le linee erano guai. 

Caratteristiche che il nostro, nato in riva al Brembo l'8 agosto 1932, assommava in una sintesi quasi perfetta. Bernasconi non era rinomato per la sensibilità di piede, ma nell'interdizione, nell'anticipo e nel rilancio aveva pochi rivali. Il triennio di gavetta al "Matteo Legler" fu seguito a ruota dal biennio "cittadino", e con i colori nerazzurri le sue quotazioni s'impennarono tanto da farne un oggetto ricercato. Dal '52 al '54, 54 presenze nel massimo campionato con la Dea, un nono e un decimo posto: al vertice, il senatore Daniele Turani con l'ingegner Luigi Tentorio (papà dell'attuale sindaco di Bergamo, Franco) come eminenza grigia di corte; in panchina Luigi Ferrero, ex mister biscudettato del Grande Torino (1945-47), fece appena in tempo a mangiare il panettone dell'annata II cedendo poi la bacchetta del comando alla vecchia gloria Cesco Simonetti; in campo, il bomber danese Rasmussen, il "Trio Primavera" Brugola-Testa-Beppe Cadè, la coppia di terzini Rota-Roncoli, e dal '53 Nane Bassetto. Un vicentino che veniva dalla Lanterna blucerchiata, quella che catturò con le luci della ribalta del pallone rivierasco il giovanottone bergamasco. Che con 334 match in 11 rotazioni terrestri - e accanto a nomi come Ocwirk, Vicini, Tortul, Brighenti - è attualmente al terzo posto nella classifica dei doriani con più gettoni di sempre, dietro il Mancio e Moreno Mannini. Il resto, messi in bacheca anche 6 incontri in Nazionale, il numero 5 veloce come la Ninfa che lo protesse negli anni difficili dello sboccio lo spese nelle Marche, tra Jesi e Urbino, per appendere le scarpe al chiodo nel 1970. Tanti auguri, campione.

Sezione: Auguri a... / Data: Lun 08 agosto 2011 alle 09:00
Autore: Simone Fornoni
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