La 15ª giornata di Serie A Enilive mette di fronte Parma e Lazio, entrambe alla ricerca di continuità per perseguire i propri obiettivi. Quando si pensa a ducali e biancocelesti è impossibile non riportare a galla il momento storico in cui coincisero le fortune delle due squadre. Una spruzzata di nostalgia e il sapore denso degli anni ’90: decennio pregno di talenti, l’epoca di un calcio italiano capace di dominare su larga scala il panorama europeo. Il boom economico nostrano contribuì, accentuando l’avvento di diverse realtà in grado di battagliare a viso aperto con Juventus, Milan e Inter. Sia Parma che Lazio seppero emergere, riuscendo -con stili differenti- ad accaparrarsi una fetta corposa sul tavolo delle contendenti.
Il Parma dall’anima operaia e lo spirito vincente - Fu con Nevio Scala al timone che i gialloblù iniziarono il proprio ciclo vincente. Salita nella massima serie nel 1990, la squadra si plasmò attraverso la capacità del proprio allenatore di trasformare talenti emergenti in campioni: al Tardini, nel primo Parma, passò gente come Taffarel, Brolin, Zola e Asprilla. Il periodo dell’oro per gli emiliani prese forma nella stagione 91-92, annata nella quale giunse la vittoria in Coppa Italia: una finale a due parti dove il Parma seppe ribaltare la Juventus di Baggio (1-0 a Torino nel primo atto) con le reti di Melli e Osio per il 2-0 del match di ritorno. Il successo internazionale non tardò, la Coppa delle Coppe alzata al cielo di Londra nel teatro del leggendario Wembley Stadium resterà indelebile nel cuore dei tifosi gialloblù. Minotti, Melli e Cuoghi i marcatori di quel 3-1 ai danni dell’Anversa nella notte del 12 maggio 1993.
L’impresa valse il lasciapassare per la finale di Supercoppa Europea contro gli invincibili del Milan di Fabio Capello. I rossoneri si aggiudicarono l’andata allo stadio Tardini con la firma di Papin, ma la forza dei ragazzi di Scala portò il Parma alla clamorosa rimonta nel ritorno di San Siro: prima Sensini trascinò la gara ai supplementari, poi ci pensò Crippa a siglare lo 0-2 per sancire l’eroica vittoria ducale. La storia proseguì con un nuovo cammino trionfante in Coppa delle Coppe, purtroppo terminato con la sconfitta in finale per mano dell’Arsenal, mancando così il back-to-back nella competizione.
Il 1994-95 pose l’asticella più in alto: in Serie A i ducali terminarono al secondo posto, in Coppa Italia arrivarono in fondo, ma ancora una volta fu la Juventus (vincitrice del campionato) a spuntarla; in Coppa UEFA, però, l’epilogo assunse una forma diversa. Per Dino Baggio l’immagine copertina: a Parma il centrocampista segnò l’1-0 decisivo, al ritorno pareggiò il gol di Vialli e il 3 maggio 1995 i crociati si tolsero la soddisfazione del terzo titolo europeo della propria storia.
Il secondo ciclo parmense si divise con le figure di Carlo Ancelotti e Alberto Malesani. Nel 1996 l’ex calciatore di Roma e Milan si sedette sulla panchina ducale per provare a proseguire la rotta tracciata da Nevio Scala prima di lui. In rosa si misero in luce, per diverse stagioni, profili del calibro di Buffon, Cannavaro, Thuram, Crespo. La prima annata ancelottiana coincise con un altro secondo posto in campionato e la conseguente prima storica qualificazione in Coppa dei Campioni. Nel 1998, con l’approdo di Malesani, il Parma tornò ad inanellare trofei. Tra aprile e maggio ’99 in bacheca entrarono prima un’altra Coppa Italia (battuta in finale la Fiorentina di Batistuta) e poi una seconda Coppa UEFA ai danni del Marsiglia, annichilito con un sonoro 3-0. Il cerchio si chiuse perfettamente, ancora una volta al Giuseppe Meazza contro il Milan, nella finale di Supercoppa Italiana, portata a casa con Crespo e Boghossian che ribaltano il gol di Guglielminpietro.
Lazio, tante stelle per una storia intramontabile - Un tasso tecnico smisurato, l’aura di una squadra destinata ad incantare. La Lazio degli anni ’90 ci mise un po’ di più rispetto al Parma per arrivare ad accomodarsi al tavolo delle migliori; le prime stagioni dell’era Cragnotti portarono in dote l’ambizione di competere a livelli celestiali, ma anche quella necessità di una collocazione adeguata che i biancocelesti seppero ottenere solo con Sven-Göran Eriksson al timone. Le gestioni di Zoff e Zeman ebbero il loro picco con tre terzi posti di fila in Serie A dal 1993-94 al 1995-96 e grazie alla semifinale di Coppa UEFA raggiunta nel ’95. In quegli anni la Lazio si dimostrò spesso all’altezza delle altre corazzate, ma nell’ultimo sprint mancò sempre lo strappo finale per concretizzare il tutto. Da Signori a Gascoigne, passando per Marchegiani, Bokšić, Fuser, arrivando al lancio di un giovane Alessandro Nesta; nonostante la parata di prospetti e giocatori affermati, i biancocelesti rimasero così in attesa di un vento nuovo.
Con Eriksson la musica cambiò: la Lazio dal 1997 in avanti, preso possesso delle proprie capacità, alzò notevolmente il volume. Presenti in quella squadra i vari Nedved, Almeyda, Jugović e Pancaro; i capitolini fecero centro alla prima annata del tecnico svedese, conquistando la Coppa Italia il 29 aprile 1998 dopo una rimonta sul Milan di Capello. Anche in Coppa UEFA la squadra giunse in fondo, ma questa volta a spuntarla fu l’Inter di Ronaldo nella finale del Parco dei Principi a Parigi. Il 1998-99 si aprì con gli acquisti dei vari Vieri, Stanković, Mihajlović, Salas, Conceição e una prima fila obbligata nel lotto delle contendenti al titolo. I ragazzi di Eriksson presero il largo in classifica a metà campionato, viaggiando a vele spiegate verso il tricolore. Qualcosa, però, si ruppe: il Milan recuperò terreno e compì il sorpasso sui biancocelesti in dirittura d’arrivo ad una giornata dal termine. Una delusione cocente, sanata in parte dall’affermazione in Coppa delle Coppe (conquistata contro il Malaga), da una Supercoppa Italiana (contro la Juventus) e una Supercoppa Europa (vinta ai danni del Manchester United di Ferguson).
La vendetta della Lazio si consumò nella stagione successiva, con il secondo scudetto della società raggiunto in coda ad un testa a testa estenuante con la Juve, culminato con il nubifragio bianconero al Renato Curi di Perugia. Per confermare l’idea di una squadra dominatrice, la Lazio in quell’annata vinse anche la Coppa Italia, fermando i desideri dell’Inter di Marcello Lippi nella doppia finale nel maggio del 2000.Doverosa citazione anche per il secondo atto contro i nerazzurri nella partita che assegnò la Supercoppa Italiana l’8 settembre 2000: 4-3 laziale per regalare l’ultimo trofeo ad un gentleman del nostro calcio come Sven-Göran Eriksson.
Oggi, a distanza di un quarto di secolo, Parma-Lazio assume contorni diversi. Con la speranza di vederle presto di nuovo protagoniste in Europa, la sfida del Tardini resta terreno fertile su cui coltivare la memoria di momenti unici, quando gialloblù e biancocelesti scrissero pagine intramontabili del calcio italiano.
Autore: Daniele Luongo
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