Una settimana fa, nel bel mezzo dei problemi (chiari) tra De Laurentiis e Spalletti avevamo soltanto chiesto che non diventasse una fiction. Il famoso stillicidio citato di Allegri (ci torneremo) è invece andato in onda. De Laurentiis e Spalletti oggi sono come i rappresentanti dei guelfi e ghibellini di una volta: agli antipodi. Oppure come il Polo Nord e l’Equatore: distanze siderali. La follia è soltanto una: rovinarsi questi giorni di festa pazzesca, di esaltazione collettiva, con il veleno di un rapporto morto e sepolto. Bene, anzi malissimo, ci sono riusciti. Ci sono modi e modi, Napoli avrebbe meritato una gestione completamente diversa. È come se una festa di laurea fosse intossicata da ombre sul presente e sul futuro di chi ha voglia soltanto di brindare e scatenarsi. De Laurentiis ha avuto una gestione perfetta durante la stagione, ha evitato sortite pericolose, si è limitato a distribuire tweet di elogi dopo ogni trionfo, sembrava il gemello del numero uno che metteva bocca su qualsiasi cosa, spaccando molto spesso il dibattito. Dopo il trionfo, è tornato il De Laurentiis di sempre, quello che ha discusso con Mazzarri, Sarri, Gattuso, Ancelotti, con quasi tutti.
Nessuno disconosce i suoi meriti, abbiamo sempre detto che la gestione di ADL è stata giusta o al limite della perfezione, tutelando il bilancio e nello stesso tempo esaltando i risultati sportivi. Ma intossicare i giorni più belli da 33 anni a questa parte è una soluzione figlia del masochismo più puro. Quella notte di 10 giorni fa, quando sono andati a cena, avevano cercato di mettere su un discorso costruttivo, non avevano certo raggiunto accordi per la firma come avevano sbandierato a destra e a manca. Ma non c’erano più i margini, già la conferma della scorsa stagione era stata sofferta, incomprensioni dalla debacle di Empoli in poi. De Laurentiis ha voluto tutto il sole addosso, dopo essersi esposto soltanto a suon di tweet. Ma questi erano giorni diversi, speciali, unici, mitici, la gestione avrebbe dovuto tenere conto del suddetto panorama. Noi pensiamo che Spalletti faccia benissimo a lasciare, non c’erano più le condizioni, avrebbe rischiato una brutta figura, di sicuro qualcuno partirà e non stiamo parlando di comprimari. Spalletti sta per salutare dopo aver scritto la storia, la geografia, la chimica: resterà un mito per la gente di Napoli, tracce assolutamente indelebili nei secoli.
Massimiliano Allegri ha uno straordinario metodo: più le cose vanno peggio, per colpe sue inequivocabili, più si arrampica sugli specchi. La sconfitta di Empoli ha ricordato quella in casa del Maccabi (e lì neanche c’erano gli spifferi della penalizzazione), eppure lui è riuscito a dire che i punti sono 69 sul campo e che prima della disfatta al “Castellani” la Juve aveva la seconda difesa del campionato. Allegri ha parlato di stillicidio, quando lo stillicidio è lui. Sono due anni che segnaliamo questo scempio, vorremmo precisare una cosa: non ce l’abbiamo con Allegri, semplicemente è Max che ce l’ha con la Juve, l’ha ridotta uno straccio. Ormai lo difendono soltanto quelli della domenica notte, eppure le preoccupazioni dovrebbero essere diverse (magari vendere qualche copia in più, le edicole sono deserte). Lo difendono quelli che direbbero “Allegri è il migliore, non ha colpe” persino se la Juve retrocedesse. Lo difendono quelli che ormai nessuno ascolta. Ci stupisce che Calvo, prima di ogni partita, non si accorga del suddetto scempio: ci auguriamo siano dichiarazioni di circostanza. Qui stiamo parlando della Juve non del Roccacannuccia. La famosa sentenza arrivata dieci minuti prima di Empoli era stata addirittura attenuata rispetto alle previsioni, nel senso che aveva offerto alla Juve la possibilità di portarsi a due punti dal Milan per poi puntare tutto sullo scontro diretto in direzione “sorpasso al quarto posto”. Sarebbe bastato questo per avere un minimo di orgoglio, altro che lo stillicidio che Allegri “vende” per depistare. Noi pensiamo che Allegri non possa avere un futuro sulla panchina della Juve, fermo restando che il club è libero di continuare a collezionare simili figuracce. Oltre trenta milioni lordi di stipendio sono un oceano per pensare di mandarlo via? Beh, veramente il depauperamento c’è già stato (Vlahovic è peggiorato. Chiesa è stato trascurato, Di Maria isolato, Locatelli è in regresso). E se continuasse a esserci, i danni economici sarebbero superiori ai famosi 30 milioni e passa lordi dei due anni di contratto di Allegri. La Juve è libera di decidere come ritiene, compreso il rischio di continuare a farsi del male.
Maurizio Sarri ha fatto un capolavoro che soltanto i prevenuti con gli occhi foderati di prosciutto possono disconoscere. Un capolavoro per tre motivi: a) l’organico ristretto; b) la lunga assenza di Immobile; c) il peggiore Milinkovic-Savic da quando è alla Lazio. Eppure Sarri non ha pianto, ha lavorato, ha dovuto rinunciare alle coppe prendendosi critiche ingenerose da parte di tutti. Ci sono opinionisti (ex allenatori senza risultati) che continuano a volerlo più “camaleontico” piuttosto che elogiarlo: è il caso di Bruno Giordano che se alle parole avesse accompagnato i fatti avrebbe vinto qualche campionato piuttosto che collezionare esoneri. Sarri ha avuto l’80 per cento della comunicazione romana pseudo laziale contro, non vedevano l’ora che scivolasse per massacrarlo. E adesso devono elogiarlo con sanguinosa fatica. Quell’80 per cento della comunicazione è in buona parte il fan club dello stesso Tare, basterebbe un esame di coscienza. E proprio a Tare andrebbe dedicata da Sarri la qualificazione Champions, a maggior ragione dopo le recenti dichiarazioni del direttore sportivo. Tare parla di rapporto normale, tranquillo, è andata esattamente al contrario. Ora Sarri ha due missioni, chiarissime. La prima: chiudere la stagione al secondo posto, un risultato sensazionale. La seconda: ottenere un mercato su misura, con alcune tracce chiare (Zielinski, Gedson Fernandes e Berardi piacciono molto) e con altre da individuare per una nuova era Lazio.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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