Ci sono addii che fanno più male di altri, perché portano con sé il peso insopportabile di ciò che poteva essere e non è stato. La carriera di Mattia Caldara, uno dei figli prediletti di Zingonia, si è chiusa ufficialmente lo scorso 15 novembre, a soli 31 anni. Non per scelta, ma per sopravvivenza. Dietro la decisione di appendere gli scarpini al chiodo c'è un verdetto medico che non ammette repliche: una caviglia senza più cartilagine e lo spettro di una protesi nel giro di pochi anni se avesse continuato a sollecitare l'articolazione. Ma nel racconto di questa fine anticipata, affidato ai colleghi di Fanpage, emerge un dolore che supera quello fisico: il rimpianto di una scelta di mercato che ha cambiato, in peggio, la storia della sua vita.

IL CAPOLINEA, UNA CAVIGLIA DI CRISTALLO - Il talento cristallino che aveva fatto innamorare Bergamo si è infranto contro la fragilità del suo stesso corpo. La via crucis, iniziata subito dopo l'addio all'Atalanta, ha presentato il conto finale. Continuare a giocare non era più un'opzione praticabile senza compromettere la qualità della vita futura. Una resa incondizionata di fronte alla sfortuna, che ha trasformato un potenziale difensore da Nazionale in un ragazzo costretto a fermarsi quando avrebbe dovuto essere nel pieno della maturità agonistica.

SLIDING DOORS, L'ESTATE DEL 2018 - Eppure, scavando nell'anima, Caldara individua il vero punto di rottura non in un infortunio, ma in una firma. Estate 2018: la Juventus, che lo aveva prelevato dall'Atalanta lasciandolo maturare in prestito, lo porta in ritiro. Poi arriva l'offerta del Milan, nello scambio che riporta Bonucci a Torino. Mattia vacilla, vuole giocare, sente il richiamo dei rossoneri e degli amici come Andrea Conti. Ma c'è una voce che gli dice di fermarsi, quella di Giorgio Chiellini. Il capitano bianconero lo invita a restare, a pazientare, a imparare all'ombra dei grandi per poi prendersi la scena.

IL RIMORSO: «HO TRADITO UN IDOLO» - Le parole di Caldara oggi sono pietre: «Avrei dovuto essere più forte mentalmente e caratterialmente. Resistere, restare lì anche senza giocare. Intanto avrei osservato, imparato, magari Giorgio mi avrebbe dato ancora più consigli». La scelta di andare a Milano, col senno di poi, è vissuta come una colpa indelebile: «Ho sbagliato, ho sbagliato in pieno. È il rimpianto più grande della mia vita. Non averlo ascoltato è come se avessi tradito un mio idolo. Sono stato scarso caratterialmente».

L'EPILOGO,TRA FASCINO E BUIO - «Il Milan è il Milan», ammette ancora oggi, riconoscendo il fascino che quella maglia esercitò su un ragazzo di 24 anni in cerca di gloria immediata. Ma quella fretta si è trasformata in un incubo fatto di sale operatorie e riabilitazioni infinite. Oggi di Mattia Caldara resta il ricordo di quel difensore elegante che con la maglia della Dea sembrava destinato a dominare il calcio italiano, e l'amarezza di un uomo che ha capito troppo tardi che, a volte, la pazienza vale più di una maglia da titolare.

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Sezione: L'angolo degli ex / Data: Lun 15 dicembre 2025 alle 19:30
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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