Nella serata di Pasquetta, Gandino ha ospitato una proiezione speciale del film-documentario "Una vita da Dea", che celebra gli ultimi incredibili anni dell’Atalanta, culminati nella vittoria dell’Europa League. A margine dell'evento, il regista Beppe Manzi ha raccontato ai microfoni di Antenna 2 la genesi e i retroscena di un'opera destinata a emozionare tutti i tifosi nerazzurri e non solo. Ecco quanto evidenziato da TuttoAtalanta.com
Beppe Manzi, da dove nasce l'ispirazione per questo film sull’Atalanta?
«L’idea è scaturita dalla settimana che precedeva le due grandi finali disputate dall’Atalanta: prima la Coppa Italia contro la Roma, poi la finale di Europa League a Dublino. All'inizio, infatti, il film doveva chiamarsi "Una settimana da Dea", perché era chiaro che stavamo vivendo giorni irripetibili nella storia del club. La sconfitta amara nella prima finale e poi la straordinaria gioia europea contro il Bayer Leverkusen ci hanno fatto comprendere che meritava un racconto ancora più profondo, più ampio, che andasse oltre quei sette giorni».
Avete deciso quindi di cambiare prospettiva e allargare lo sguardo a un periodo più lungo…
«Esatto, abbiamo capito che era necessario mostrare tutta la grandezza di ciò che l’Atalanta ha rappresentato per Bergamo negli ultimi dieci anni. Abbiamo quindi recuperato immagini storiche dagli archivi del club e di Bergamo TV, unendole al materiale esclusivo girato da noi a Roma e Dublino, creando così una sinergia straordinaria. Il film, co-prodotto dalla mia casa di produzione Oki Film, Officina della Comunicazione e dalla stessa Atalanta, è diventato un viaggio cinematografico nella storia recente del club».
Quanto è stato complesso raccontare così tante stagioni in un unico film?
«Molto difficile, perché condensare oltre un decennio di grandi momenti è una sfida enorme. Il racconto inizia dal ritorno della famiglia Percassi nel 2010 e attraversa tutte le tappe cruciali: l’arrivo decisivo di Gasperini, i risultati sportivi, le emozioni vissute insieme ai tifosi. È stato inevitabile dover sacrificare alcuni episodi, ma credo che il risultato finale renda giustizia alla grandezza dell'Atalanta e a ciò che rappresenta per i bergamaschi».
Perché, secondo lei, la storia dell'Atalanta è diversa da quella delle altre provinciali?
«È vero, tutte le squadre provinciali vivono un legame speciale con la propria città, ma a Bergamo c’è qualcosa di unico e irripetibile. Lo si percepisce dal rapporto speciale che i giocatori hanno con la comunità: sono cittadini prima ancora che atleti. Antonio e Luca Percassi lo ripetono spesso: "L’Atalanta è Bergamo, Bergamo è l’Atalanta". Nel film abbiamo voluto sottolineare proprio questo aspetto».
Che sensazioni ha raccolto tra i tifosi durante le proiezioni del film?
«Un’emozione incredibile. È stato bellissimo vedere padri con i figli, nonni con i nipoti, generazioni unite da questa passione che il film ha contribuito a raccontare e valorizzare. Devo ringraziare Raikom e Nex Studios per aver creduto sin dall’inizio al progetto e per aver reso possibile la distribuzione nelle sale. Ora speriamo che il film possa raggiungere un pubblico ancora più ampio, magari anche fuori dai confini italiani».
Un'ultima battuta: perché un tifoso nerazzurro dovrebbe assolutamente vedere "Una vita da Dea"?
«La risposta è nella dedica finale del film, rivolta a tutti coloro che almeno una volta ci hanno chiesto: "Ma chi te lo fa fare di tifare Atalanta?". Il film è la risposta più bella che potevamo dare, celebrando una squadra, una città e una tifoseria che meritano di essere raccontate e ricordate».
Un’opera destinata non solo a restare nella storia nerazzurra, ma anche a ricordare a tutti che il calcio, quando incontra il cinema, può diventare poesia.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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