Il lento incedere di Obdulio Varela, capitano dell'Uruguay degli anni trenta, verso il centro del Maracanà ha fatto storia. Il due a uno della Celeste sul Brasile, nel 1950, ha assurto proporzioni da un marchio di fabbrica. Ed è diventato leggenda per chi, qualche anno dopo, ha dovuto raccontare quella partita. Con un Rimet che non consegna la coppa, una vergogna incredibile, e i verdeoro che si abbandonano all'ingiustizia. E pure ai tanti, troppi suicidi, dopo quella coppa assaporata e mai vinta. Appunto, Mauricio Pinilla qualche mese fa avrebbe potuto imitare il capitano uruguagio, senza garra charrua ma con un destro fulminante, che lasciava impietrito Julio Cesar. Traversa, poi scolpita sulla pelle a mo' di tatuaggio, e Pinilla che non entra nella storia. Lo farà la Germania, ma senza un vero e proprio nome - se vogliamo escludere quel Klose diventato cannoniere assoluto dei mondiali - bensì con una prestazione ai limiti dell'imbarazzo verdeoro. Se Varela è passato alla storia, avrebbe potuto farlo pure Pinilla, escludendo il Brasile e diventando un idolo del Sudamerica.
Peccato che non lo sia diventato di Genova, perché sotto la Lanterna solo 3 gol in 12 presenze, e l'approdo, finalmente, all'Atalanta. Perché due anni fa esatti, correva il gennaio 2013, Pinilla sarebbe dovuto finire ai piedi della Maresana. Con la possibilità di sostituire German Denis sempre più malinconico bomber che sarebbe addirittura finito, a inizio febbraio, in panchina. Contro il Palermo, con Parra titolare, e con un 2-1 finale firmato proprio dal Tanque. Pinilla guardava da Cagliari, poteva finire a Bergamo ma alla fine aveva rinunciato. Ci è riuscito qualche tempo, quasi due anni, dopo. Giocherà subito contro il suo passato, per un'Atalanta che rimane, decisamente, più forte delle avversarie in zona salvezza. Ma non sempre è abbastanza. Soprattutto quando segni con il contagocce.

Sezione: Altre news / Data: Gio 01 gennaio 2015 alle 14:00 / Fonte: TMW
Autore: Twitter @tuttoatalanta / Twitter: @tuttoatalanta
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