Eugenio Urio, Giulio e Ferruccio Amati, Alessandro Forlini e Giovanni Roberti. Erano in cinque, anche se per i calciofili bergamaschi potrebbero assurgere ai livelli del dogma trinitario. Sono loro, figli della Bergamo bene nonché imbevuti di cultura classica, i padri fondatori dell'Atalanta. Un nome e un mito, di cui ancora oggi si fregia quella che è la regina riconosciuta delle cosiddette "provinciali". Correva l'anno 1907, in cui curiosamente ebbe inizio anche la ridefinizione dell'urbanistica cittadina con gli interventi dell'architetto Marcello Piacentini che, una volta rimossi gli edifici della vecchia fiera, avrebbero dato origine al Sentierone. Ebbene, proprio il 17 ottobre quei baldi giovani in vena di diventare sports-men (come si diceva all'epoca) decisero di regalare linfa vitale al loro sogno: la creazione di tanto ardire si chiama "Società Bergamasca di Ginnastica e Sports Atletici Atalanta". La sezione calcio - maglia, udite udite, a strisce bianconere - venne aperta solo nel 1913, tanto che a lungo la prima squadra del capoluogo orobico rimase il Foot Ball Club Bergamo, fondato da esponenti dell'alta borghesia industriale di origine svizzera (Matteo Legler su tutti) solo un lustro prima. Il nome? Un tributo alla bellissima e velocissima ninfa che soltanto l’inganno dei pomi d’oro d’Ippomene poté sconfiggere nella corsa.
Il riconoscimento della FIGC è datato 1914: la primissima parvenza di "stadio" è un precario rettangolo spelacchiato ai margini della massicciata ferroviaria in via Maglio del Lotto. Ma per attendere la svolta epocale del calcio all'ombra delle Mura Venete servirà aspettare fino al 1920. E qui entra in campo la "Società Bergamasca di Ginnastica e Scherma", che dopo aver assorbito il Football Club Bergamo fu battuta per 2-0 dai concittadini nello spareggio disputato a Brescia il 5 ottobre 1919 per l'accesso alla Prima Categoria della stagione 1919-20. Ma ecco che il proverbiale pragmatismo di schietta marca orobica prevale sulle rivalità di campanile. Nel febbraio 1920, l'Atalanta e la Bergamasca si fondono assumendo la denominazione di Atalanta e Bergamasca di Ginnastica e Scherma, poi semplificata nell'attuale Atalanta Bergamasca Calcio. Per la divisa ufficiale, decisione salomonica: vengono "salvati" e accostati il nero dell'Atalanta e l'azzurro della Bergamasca (che era bianco-blu). Si gioca alla Clementina (zona Daste e Spalenga, al confine con Gorle) già dal primo dopoguerra, e con le forze fresche della riuscitissima sinergia l'epopea nerazzurra può avere finalmente inizio. E' dal 1920, non a caso, che si è soliti far partire il counter dei Presidenti, ognuno dei quali a suo modo ha contrassegnato un'era.
Diciannove patron in tutto (nel 1907 i famosi cinque avevano nominato Vittorio Adelasio), con un caso di un cavallo di ritorno pronto a riprendersi la sella dopo esserne stato disarcionato solo qualche tempo prima. Il primo della lista, Enrico Luchsinger, proveniva da una famiglia di imprenditori tessili originaria del cantone di Glarona e detiene la carica fino al 1926. Da allora fino alla seconda guerra mondiale, a traghettare la squadra è una serie di presidenti rimasti in carica almeno un biennio o poco più. Ad Antonio Gambirasi (1926-1928) seguono Pietro Capoferri (1928-30, il numero uno dell'inaugurazione del "Brumana" poi "Comunale")), Antonio Pesenti (1930-32), Emilio Santi (1932-35), Lamberto Sala (1935-38) – che a fine mandato conquista la storica promozione in serie A -, Nando Bertoncini (1938-1944) e Guerino Oprandi fino alla conclusione del conflitto. Nel 1945 s’inaugura la lunga stagione del senatore democristiano Daniele Turani, destinata a chiudersi nel 1964 con Luigi Tentorio, ex giocatore degli anni Venti, nel ruolo di eminenza grigia. E a Bergamo arriva l’unico trofeo: la Coppa Italia 1962/63, conquistata da una squadra in cui spiccavano campioni fatti in casa come Pizzaballa, Nodari, Gardoni e Angelo Domenghini, futuro crack nella Grande Inter. Attilio Vicentini (fino al 1969) e Mino Baracchi (1970) anticipano l’avvento della famiglia Bortolotti, che tiene lo scettro (tranne la parentesi di Enzo Sensi, 1974-75) fino al 1990.
Negli anni Settanta, sotto Achille (che cederà la carica al figlio Cesare nel 1980), il vivaio nerazzurro si conferma fucina di talenti: un nome su tutti, Gaetano Scirea. Con Cesare, prematuramente scomparso nel 1990, il lancio di Roberto Donadoni e la prima era Mondonico, con l’esaltante cavalcata in Coppa delle Coppe nel 1987/88 (con la squadra in B) fino alla semifinale con il Malines e una seconda avventura in Europa dopo il sesto posto in A nel 1988/89. Poi è il turno di Antonio Percassi, che dopo la retrocessione del 1994 lascerà le redini a Ivan Ruggeri, ininterrottamente alla guida fino al 5 settembre 2008 (se si eccettua l’interregno di Giacomo Randazzo nel 2005) figlio alla proclamazione del figlio Alessandro. La caduta in B e il cambio della guardia, con il costruttore di Clusone impegnato nell'operazione rilancio, sono storia di oggi. In alto i calici, la ninfa più veloce del mito dice centotré.
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