Fresco di Laurea Triennale in Economia Aziendale all’Università del Piemonte Orientale, Davide Capuzzi, 22 anni di Rho, ha trasformato la sua passione per la Dea in un caso di studio accademico. La sua tesi, dal titolo «Economia e Valorizzazione nel settore giovanile dell’Atalanta Bergamasca Calcio», è un viaggio analitico dentro la "fabbrica" di Zingonia. Affascinato dalla filosofia che ha reso il vivaio nerazzurro un benchmark europeo, il giovane studente ha analizzato bilanci e strategie per capire come un Club di medie dimensioni sia riuscito a generare risultati tecnici ed economici da top club. Un lavoro che unisce identità territoriale e sostenibilità, con un sogno nel cassetto: stringere la mano al responsabile del vivaio, Roberto Samaden.
Davide, tu sei milanese: com’è nata la passione per l’Atalanta?
«È scoccata nel 2018, guardando le partite della prima Atalanta di Gasperini - confida, in esclusiva, ai microfoni di TuttoAtalanta.com -. Proprio a lui ho dedicato il finale della mia tesi e sarebbe un sogno potergliene consegnare una copia. Ogni singola partita di quella squadra aveva qualcosa di speciale: il gioco, gli schemi, la determinazione feroce. Riuscivano a emozionare anche i tifosi neutrali. Lo stesso vale per tutte le versioni della Dea che sono venute dopo: ognuna ha avuto il suo modo di sorprendere e di far innamorare».
È per questo che hai deciso di dedicare la tesi proprio al settore giovanile nerazzurro?
«L'idea è nata lo scorso dicembre, leggendo un report del CIES Football Observatory: evidenziava come l’Atalanta avesse superato i 100 milioni di ricavi lordi dalle vendite di giocatori cresciuti in casa. Da studente di economia, mi sono chiesto come fosse possibile che un Club di medie dimensioni generasse numeri simili. Dopo la sessione di esami a maggio, ho deciso di andare a fondo e analizzare scientificamente uno dei vivai più riconosciuti in Europa».
Che fonti hai utilizzato per la tua analisi economica?
«Ho lavorato sui bilanci ufficiali dell’Atalanta, incrociandoli con database economico-finanziari e
report internazionali di CIES e FIFA. Ho poi integrato il tutto con i dati di Transfermarkt, i documenti ufficiali della FIGC e materiale accademico specifico».
C’è un aspetto della storia di Zingonia che ti ha colpito particolarmente?
«Più di uno. Zingonia mi ha colpito perché non è solo un centro sportivo, ma un luogo educativo. La "Casa del Giovane" incarna questo concetto: scuola, convivenza e crescita personale vengono prima del campo. La figura che più mi ha impressionato, però, resta quella di Mino Favini. Capire cosa ha costruito lui significa comprendere l’identità profonda del vivaio. E poi c’è l’Under 23, che oggi rappresenta il vero salto evolutivo nella formazione dei talenti».
Quanto pesa l'eredità di Mino Favini in questo modello?
«È stata decisiva. Favini ha impostato una filosofia chiara: prima si forma la persona, poi il calciatore. Questa mentalità è rimasta intatta nel tempo ed è ancora il filo conduttore del lavoro quotidiano. Senza quella visione etica e tecnica, oggi l’Atalanta non sarebbe ciò che è».
In cosa il vivaio dell’Atalanta si differenzia dagli altri in Italia?
«Per rispondere con esattezza bisognerebbe analizzare ogni singolo settore giovanile italiano. Di certo, l’Atalanta si distingue dai club di provincia per la capacità di valorizzazione e per le affiliazioni, ma anche per uno scouting estero capillare e un numero di osservatori elevatissimo. La vera differenza, però, è che il settore giovanile nerazzurro funziona come un sistema integrato, non come un reparto isolato. È una combinazione di strutture, metodo, territorio e organizzazione che dialogano costantemente».
Quali sono i pilastri strutturali di questo successo?
«Strutture d’eccellenza, stabilità societaria, una cultura educativa forte e, soprattutto, una rete di scuole calcio perfettamente integrate col territorio».
Quanto incide l’identità territoriale?
«Tantissimo, come confermano le testimonianze dei ragazzi nel podcast “La fabbrica del talento”. A Bergamo il senso di appartenenza è viscerale. Zingonia non è un'isola, è percepita come parte integrante della città. I ragazzi lo avvertono e questo legame rafforza
sia la motivazione che il senso di responsabilità».
Il "Modello Zingonia" è esportabile?
«In parte lo è già. Il metodo di lavoro, l’organizzazione delle Academy e la gestione formativa sono replicabili. Ciò che non si può copiare è l’energia del territorio, la storia e la continuità della proprietà. Zingonia funziona perché è radicata culturalmente. Ci sono tesi di marketing che spiegano proprio l'unicità di questo ecosistema».
Quali voci di bilancio spiegano meglio il contributo del vivaio?
«Le principali sono tre: le plusvalenze da cessione, i costi di gestione del settore giovanile e gli ammortamenti legati ai calciatori formati in casa. Insieme, queste voci permettono di leggere sia il valore generato che l’investimento sostenuto dal Club».
Qual è il numero che ti ha sorpreso di più?
«Il dato più eclatante è questo: negli ultimi dieci bilanci, i ragazzi cresciuti nel vivaio hanno generato circa 209,6 milioni di euro di plusvalenze. Parliamo del 46% del totale delle plusvalenze del Club nel periodo analizzato. Significa che quasi la metà del valore creato dal mercato nasce in casa. Mi ha colpito anche un dato sociale: su 415 giovani tesserati, ben 111 sono ragazze».
Qual è la reale incidenza di queste plusvalenze sul fatturato totale?
«In media attorno al 12% nel periodo analizzato, con picchi molto alti in alcune stagioni. È un contributo che varia di anno in anno, ma nel lungo periodo è fondamentale. In passato, il vivaio è stato decisivo per risanare i bilanci; oggi e in futuro rappresenterà un "utile aggiuntivo" in un contesto economico già sano».
Come incide il divieto di capitalizzare i costi del vivaio introdotto nel 2022?
«Per i non addetti ai lavori: incide sul bilancio perché oggi quei costi pesano immediatamente nel conto economico, mentre prima potevano essere spalmati nel tempo (ammortizzati). È una modifica contabile che però non cambia il valore reale del settore giovanile, né la sua capacità di produrre talenti».
Perché definisci il vivaio un "asset strategico" e non solo sportivo?
«Perché produce valore economico tangibile, alimenta la prima squadra, rafforza l’identità territoriale e migliora la reputazione del brand. È un generatore di risorse a 360 gradi».
L’Under 23: costo o investimento?
«Senza dubbio un investimento. Richiede risorse immediate, è vero, ma permette al Club di controllare la crescita dei ragazzi, aumentarne il valore di mercato ed evitare la dispersione dei prestiti. Anche se è un progetto giovane, nel medio periodo genererà un grande valore tecnico ed economico».
Quali differenze hai notato confrontando l'Atalanta con modelli sacri come Ajax e Benfica?
«L’Ajax è il modello accademico per eccellenza, una scuola tecnica quasi "universitaria". Il Benfica è industriale: grandi volumi, grandi investimenti e cessioni record. L’Atalanta è un modello ibrido: meno globale dei due colossi, ma molto più radicata nel tessuto sociale locale».
C’è un aspetto in cui i giganti esteri sono ancora avanti?
«Nella capacità di operare su scala globale. Hanno reti di scouting mondiali e un mercato di vendita più ampio, che permette di monetizzare con cifre spesso fuori portata per un club italiano. Il modello bergamasco è forse più efficiente in proporzione, ma loro vincono sulla dimensione internazionale».
Quali margini di crescita vedi per il futuro?
«Enormi. L’Under 23 può essere un acceleratore formidabile. La rete di Academy si sta espandendo fuori regione, allargando il bacino d'utenza. C’è poi la parte educativa, sempre più centrale. Infine il settore femminile: avere già 111 tesserate apre scenari interessanti, magari in ottica di una futura Serie A femminile».
La priorità assoluta per i vivai italiani?
«Migliorare la formazione degli allenatori di base. Senza tecnici competenti, aggiornati e capaci di lavorare sul ragazzo prima che sul risultato, nessun modello regge. A questo va affiancato un ponte solido verso il professionismo, come le Seconde Squadre».
Qual è la conclusione più rilevante della tua tesi?
«Che il vivaio dell’Atalanta è un asset che produce valore in modo continuativo, al di là delle oscillazioni stagionali. Anche quando le cessioni non sono record, il sistema è sostenibile perché porta costantemente giocatori nel professionismo. L'unico rammarico è non aver trovato il dato pubblico sull'investimento specifico della società nel settore giovanile: mi sarebbe piaciuto confrontarlo con i budget di Ajax e Benfica».
Da tifoso: ti aspettavi questo avvio di campionato?
«È stato un inizio complicato, inutile negarlo. La rosa non è stata stravolta, ma manca ancora un po’ di continuità. L’Atalanta è un diesel, solitamente carbura alla distanza. Alcune gare mi hanno esaltato, altre lasciato l'amaro in bocca per la mancata concretezza. Però la voglia di lottare c'è e credo che con il nuovo allenatore si possa ritrovare il ritmo. Giocare su più fronti non aiuta la costanza».
Dove può arrivare questa squadra?
«Difficile dirlo oggi. Se ritrova fiducia, la zona Europa è alla portata e magari la Champions può farci sognare ancora. Io ci credo, questa squadra ha sempre risorse speciali».
Chiudiamo con il tuo sogno nel cassetto.
«Vorrei stringere la mano e fare una foto con Roberto Samaden, il responsabile del settore giovanile, proprio lì, al centro sportivo di Zingonia. Nel cuore della "fabbrica" che ho studiato».
Dall’analisi di Capuzzi emerge una verità nitida: il settore giovanile dell’Atalanta non è solo un vivaio, ma un pilastro aziendale capace di generare oltre 200 milioni di plusvalenze in dieci anni. Un modello figlio della visione di Mino Favini e oggi proiettato nel futuro grazie all'Under 23. Per Davide la tesi è solo l'inizio: mentre guarda ai numeri, il cuore resta quello di un tifoso che sogna di varcare i cancelli di Zingonia, non più solo sui libri, ma nella realtà.
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