Avvocato di riferimento nel panorama sportivo nazionale, Cesare Di Cintio è uno dei massimi esperti in diritto dello sport, media rights e gestione manageriale. Fondatore di DFC Sport Legal, studio con sedi a Bergamo e Roma, ha curato operazioni di primissimo piano – tra cui il rinnovo di Manuel Locatelli con la Juventus – diventando un approdo sicuro per Club, atleti e Federazioni. Alla competenza giuridica unisce una solida esperienza istituzionale: già a capo della Lega Ciclismo Professionistico, da giugno è Commissario Straordinario dell’Unione Italiana Tiro a Segno. Una figura trasversale, capace di leggere le dinamiche del calcio dall’interno. Con lui analizziamo i grandi temi del momento: dalle tutele nei trasferimenti internazionali al "potere" degli agenti, fino al caso Ederson e al nuovo corso dell'Atalanta targato Raffaele Palladino.
Avvocato, quali sono le principali insidie legali che un Club affronta oggi nei trasferimenti?
«Sul mercato italiano, la difficoltà maggiore risiede nell'incrociare la normativa statale con quella sportiva - spiega, in esclusiva, ai microfoni di TuttoAtalanta.com -; la recente riforma del lavoro sportivo ha inciso notevolmente, soprattutto a livello dilettantistico. Sul fronte internazionale, invece, il nodo cruciale riguarda gli strumenti di tutela. Un trasferimento dall’Italia alla Romania, ad esempio, può sembrare routine, ma la differenza la fanno i dettagli contrattuali. Mi è capitato spesso di vedere agenti trascurare le clausole, rimandando eventuali contenziosi alla giustizia ordinaria dello Stato di destinazione. Questo è un rischio enorme. La sfida di uno studio legale è proprio questa: inserire clausole compromissorie che rimandino ogni controversia alla competenza esclusiva degli organi di giustizia FIFA, garantendo tutele certe a Club e giocatori».
Ci sono differenze sostanziali tra le tutele del mercato italiano e quelle estere?
«L’Italia è un Paese molto evoluto sotto il profilo giuridico-sportivo, al pari di Spagna e Francia. Qui le tutele sono forti e riconosciute. Altrove le garanzie possono essere decisamente inferiori. Ho seguito contenziosi con Club dell’Est Europa o dell’Arabia Saudita dove, in assenza di clausole che rimandassero alla FIFA, difendersi è diventato un’impresa. Tanti giocatori andati all’estero non hanno incassato tutti i compensi pattuiti proprio per la mancanza di questa clausola compromissoria».
Nel calcio moderno il ruolo degli agenti è diventato egemone?
«Più che altro si è affievolita la centralità del direttore sportivo. Un tempo era il DS il vero dominus delle scelte tecniche. Oggi questa figura esiste ed è tutelata, ma nei fatti, dalla Serie D alla A, il mercato lo fanno spesso i procuratori. Sono sempre meno i direttori con una propria rete di scouting indipendente e sempre più numerosi quelli che si affidano alle proposte degli agenti».
Vale anche per l’Atalanta?
«No, l’Atalanta è un’eccezione virtuosa. Ha una struttura solida e uno scouting di primo livello. È chiaro che gli agenti tentino di alzare la voce, talvolta provando a forzare la mano, ma il Club nerazzurro ha la forza per non farsi mettere sotto scacco. La gestione del caso Lookman in estate ne è la prova: l'Atalanta ha dimostrato grande forza contrattuale e coerenza. Gli agenti possono tentare tutte le forzature che vogliono, ma quando c'è un contratto firmato, l'ultima parola spetta sempre alla società».
A proposito di agenti: il procuratore di Ederson, parlando a una radio spagnola, ha candidato il giocatore per il Barcellona, giocando anche al ribasso sulla valutazione. Come si legge una mossa simile?
«Un agente può dire ciò che vuole, ma giuridicamente conta solo il vincolo contrattuale. Se l’Atalanta non ha intenzione di aderire a una proposta o di cedere il giocatore, quel vincolo resta insuperabile. Le parole restano parole».
Dichiarazioni del genere rischiano di deprezzare il cartellino?
«Personalmente ritengo che l’agente abbia ecceduto i limiti del proprio mandato, ma dal punto di vista strettamente giuridico queste uscite hanno un peso specifico quasi nullo».
Però possono influenzare le trattative o l'ambiente?
«Assolutamente sì. Agenti e società usano i media per lanciare messaggi cifrati. Dietro certe dichiarazioni spesso si cela una strategia: quando un procuratore si espone così, probabilmente vuole segnalare che ha delle offerte in mano su cui intende lavorare. Non ho prove specifiche su questo caso, ma è evidente che la comunicazione sia una leva negoziale. Dire "il mio assistito piace al Barcellona" serve a stanare il Club. Ci sono società, come l’Atalanta, che tirano dritto per la loro strada, e altre più deboli che si fanno condizionare».
C'è il rischio di destabilizzare lo spogliatoio?
«Il rischio esiste, ma l'antidoto è la stabilità societaria. Se un Club si lascia destabilizzare dalle parole di un agente, significa che è debole internamente. Non è il caso dell’Atalanta, che ha dimostrato con i fatti di saper blindare l'ambiente».
Le società hanno armi legali per difendersi da queste ingerenze?
«È un gioco delle parti. Il tesserato può parlare solo se autorizzato, mentre l’agente, non essendo un dipendente del Club, gode di maggiore libertà. Tuttavia, dubito che un procuratore parli senza il consenso del proprio assistito. Solitamente, quando si alza la voce, è perché si vuole ottenere qualcosa. Sta alla società decodificare il messaggio».
Non servirebbe più equilibrio tra le parti?
«L'equilibrio lo dà il contratto. Ma la vera differenza la fanno i dirigenti: se sei debole, l’agente entra nella gestione tecnica; se sei forte, resta fuori. Il caso Lookman è da manuale: la società ha gestito la crisi forte di un contratto blindato che nessuna delle parti poteva aggirare unilateralmente».
La linea dura dell’Atalanta ha creato un precedente?
«Sicuramente. L’atteggiamento dei Percassi ha dato coraggio ad altre società che in passato erano state più timide. Hanno imposto un nuovo modus operandi: fino a ieri si tendeva ad assecondare i "mal di pancia" dei giocatori, l'Atalanta invece ha ribadito che i contratti si rispettano. Un segnale importantissimo per tutto il sistema».
Caso Lookman: è chiuso o a gennaio, con le voci sul Galatasaray, si riaprirà?
«Al momento lo ritengo chiuso. Le parti hanno trovato un accordo e un equilibrio che prima mancava. Non credo ci saranno scossoni a gennaio».
Quanto incide la scadenza del contratto sul potere negoziale?
«Molto. Con una scadenza al 2026 un agente può iniziare ad alzare la voce. Ma se parliamo di un vincolo fino al 2027, come nel caso di Ederson, il margine di manovra è minimo: si può al massimo iniziare a dialogare, non a pretendere».
Parliamo di Serie C. L'Under 23 nerazzurra a Caserta è stata contestata dai tifosi locali. Le seconde squadre alterano la regolarità del campionato?
«Esiste un problema di fondo. La Serie C è un torneo professionistico dove le seconde squadre godono inevitabilmente di vantaggi strutturali e tecnici rispetto alle piazze tradizionali. Non parlerei di campionato falsato, ma di valori disomogenei. Personalmente sarei favorevole alla creazione di un campionato Under 23 dedicato, gestito magari dalla Lega Pro, riservato alle società con le strutture adeguate. Oggi le seconde squadre vivono uno sdoppiamento: devono competere, ma la loro priorità dovrebbe essere formare giovani. Con un campionato ad hoc si risolverebbe l'equivoco».
Passiamo al suo ruolo istituzionale. Dopo il Ciclismo, ora è Commissario Straordinario dell’Unione Italiana Tiro a Segno. Di cosa si tratta?
«Ho guidato la Lega Ciclismo Professionistico fino ad aprile 2024, risanando un ente che era quasi inesistente. A giugno mi è stato affidato l'incarico nell'UITS, un ente pubblico vigilato dai Ministeri della Difesa e dell'Interno. Ha una doppia anima: quella sportiva, che porta alle Olimpiadi gli atleti dei gruppi militari (Polizia, Carabinieri, Finanza), e quella istituzionale, legata all'addestramento obbligatorio delle forze dell'ordine e delle guardie giurate nei poligoni. È un incarico di grande responsabilità pubblica».
Lei siede anche in Consiglio Comunale a Bergamo.
«Sì, come indipendente. Non mi riconosco nelle attuali forze politiche, quindi preferisco rappresentare quella parte di cittadinanza libera da vincoli di partito. Il mio voto è ponderato: appoggio solo i progetti che ritengo utili per la città».
Da consigliere: quanto vale il "brand" Atalanta per Bergamo?
«Ha un valore inestimabile. L’Atalanta ha messo Bergamo sulla mappa del mondo. Le notti di Champions, la finale di Dublino, le sfide col Real Madrid hanno dato una visibilità senza precedenti. Anni fa, all’estero, eravamo la città "vicino a Milano"; oggi Bergamo è "la città dell’Atalanta". Senza dimenticare le eccellenze del volley e del basket, che completano un quadro sportivo straordinario».
Chiudiamo con il campo. Come giudica l'Atalanta di questa stagione e il passaggio da Juric a Palladino?
«Non credo fosse un errore tecnico scegliere Juric, che si poneva nel solco della tradizione gasperiniana, ma nel calcio l’alchimia dello spogliatoio è tutto. Palladino, in queste prime uscite, è stato bravissimo a rivitalizzare il gruppo. Mi sembra un tecnico capace di un’empatia diversa, più calda rispetto al predecessore, e i giocatori sembrano aver risposto subito presente. Ricordiamoci sempre, però, che l'eredità di Gasperini è pesante: qui ha scritto la storia».
Dove può arrivare questa squadra?
«Può giocarsela ovunque, ma l’obiettivo più concreto è la Coppa Italia. È un trofeo che manca da troppo tempo ed è alla portata. Scudetto e Champions sono traguardi complessi, anche se in campionato c’è tempo per risalire. Vedo uno Scamacca in crescita e, nonostante gli infortuni, rivedo i valori dei giorni migliori. Il rientro di Scalvini e Kolasinac sarà decisivo. E poi c’è Pasalic: per me il giocatore ideale, quello che entra e fa sempre la differenza».
Dopo tre vittorie consecutive, cosa si aspetta dalla gara di Verona?
«Da tifoso bergamasco, una sola cosa: continuità».
Le parole dell’avvocato bergamasco Di Cintio restituiscono la visione lucida di chi conosce gli ingranaggi del sistema. La sua analisi evidenzia come, in un calcio dominato dalle strategie degli agenti, servano struttura societaria e competenza legale per non perdere la rotta. In questo scenario, l’Atalanta si conferma un modello di solidità: un Club capace di difendere i propri contratti e di gestire le pressioni esterne, diventando un punto di riferimento non solo sportivo, ma anche manageriale.
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