Where is Messi? Dov’è Messi? Al termine della gara d’esordio nell’ultimo Mondiale, persa dall’Argentina contro l’Arabia Saudita, era nato sui social questo claim. La ricerca di Messi era una sorta di non troppo mascherato “adesso ci siamo pure noi”, in salsa saudita.
Poi sappiamo com’è andata a finire, e anche il tecnico dei Falconi Verdi, all’epoca Hervé Renard, aveva vaticinato che nonostante quella sconfitta il Diez e l’Argentina avrebbero vinto il Mondiale, come poi accaduto. Però quel segnale, la voglia di mostrare quella consepevolezza ci aveva stupito e incuriosito fino a indagare su quel mondo che avevamo personalmente incrociato solo alcuni anni fa, quando a sorpresa la federazione saudita aveva ingaggiato Frank Rijkaard, con risultati però modesti rispetto alle aspettative e al blasone del tecnico che ha per primo creduto in Leo Messi nel Barcellona. Ci aveva colpito il fatto che alcuni membri della Shura, il parlamento saudita, organo meramente consultivo del Paese aveva espresso perplessità, riportate dal quotidiano di Ryad Al Eqtisadia, circa l’ingaggio del tecnico olandese, che avrebbe guadagnato “un ingiustificato stipendio equivalente a quello di 10 ministri”, denaro che, sempre secondo l’articolo del giornale “potevano essere meglio spesi in programmi con scopi educativi per i nostri giovani”.
“La passione popolare per il calcio è smodata”, ci avevano garantito alcuni intermediari dell’epoca, parliamo del 2011. Quella passione l’abbiamo misurata anni più tardi, personalmente, proprio in Qatar, che è Paese confinante col regno saudita, quindi l’occasione unica per osservare dal vivo l’evento più importante del calcio, il Mondiale. Abbiamo interrogato alcuni tra i tanti tifosi incontrati nella gara, appunto con l’Argentina, e ci siamo resi conto che parlavamo con ragazzi che conoscevano tutto delle grandi nazionali e dei grandi giocatori.
Ed ecco giustificato, almeno secondo la loro visione, quello “stiamo arrivando”, tra poco conteremo anche noi nel mondo del calcio. Probabilmente sapevano meglio di noi quello che stava accadendo, quello che di lì a poco sarebbe accaduto.
La federazione saudita ha annunciato l’ingaggio di Roberto Mancini, loro grande obiettivo da tempo. Gli intermediari avevano, si dice, già chiesto informazioni su un ristretto lotto di allenatori, e da lì volevano pescare per alimentare un movimento calcistico che, dall’ingaggio di Cristiano Ronaldo in poi, ha cambiato marcia, portando a giocare per le migliori squadre saudite gente come Neymar, Benzema, Sadio Mané, Kanté, Koulibaly, Milinkovic Savic e compagnia.
Che reali prospettive ha, questo movimento, quali ombre nasconde?
La Saudi Pro League ha 18 squadre, ma solo queste quattro contano davvero: Al-Nassr, Al-Ahli, Al-Hilal e Ittihad Club. Le squadre che il PIF saudita ha nazionalizzato nel giugno di quest'anno, trasformandole in società di cui detiene il 75% del capitale. Il resto è nelle mani di fondazioni no-profit. Praticamente tutti i grandi acquisti di cui abbiamo sentito parlare quest'estate hanno riguardato queste quattro squadre, le più storiche del Paese.
L'anno scorso, lo storico Al-Ahli (nove volte vincitore del campionato) era in seconda divisione, anche se non ha avuto problemi a tornare nella massima serie. I loro giocatori non hanno nemmeno festeggiato la promozione, considerando la loro prima uscita dalla SPL come una vergogna. Il loro allenatore, il sudafricano Pitso Mosimane, non poteva crederci. Poco dopo, lui e il suo staff tecnico sono stati licenziati. Una volta usciti dal Paese, si sono lamentati di non essere stati pagati per mesi. Poche settimane dopo, l'Al-Ahli aveva annunciato l'ingaggio dell'allenatore tedesco Matthias Jaissle, che aveva appena vinto il campionato austriaco con il Red Bull Salisburgo. Alle sue spalle un investimento di 143 milioni di euro in acquisti: Edouard Mendy, Franck Kessié, Merih Demiral, Roger Ibáñez, Riyad Mahrez e l'ultimo arrivato, Gabri Veiga.
In realtà, i giocatori vengono ingaggiati dal PIF (il Fondo Pubblico d'Investimento Saudita), che poi decide a quale squadra affiliarsi. Le altre, non hanno subito cambiamenti sostanziali, anche se due di esse, Al-Shabab e Al-Ettifaq, che erano solite frequentare le zone alte della classifica, sono ora uscite da questo ristretto club, ma fino a un certo punto… Cosa succede alle squadre che lo Stato non controlla direttamente attraverso il FIP? Sono controllate indirettamente. Proprio quest'estate, un decreto del Ministero dello Sport ha limitato a due mandati consecutivi quello dei dirigenti di qualsiasi club del Paese. Questo riguarda in particolare squadre come il già citato Al-Ettifaq, fuori dalle Big Four ma ugualmente ricco grazie al sostegno della famiglia Al-Dabal, che gestisce il club dagli anni Ottanta. In base alla nuova legge, il club di Damman è stato rilevato dall'uomo d'affari Samer Al-Misehal, fratello del presidente della federazione calcistica, che presumibilmente supervisionerà l'acquisizione dell'Al-Ettifaq da parte di una filiale della compagnia petrolifera Aramco. Insomma, parliamo di una nuova industria di intrattenimento gestita dallo Stato.
I dirigenti della Lega ripetono spesso che il loro budget è ampio, ma limitato. I fatti, però, non permettono di capire dove sia il limite. I giocatori continuano ad annunciare la loro partenza per l'Arabia, anche se alcune squadre hanno già superato il limite di otto giocatori e non possono tesserarli. L'Al-Nassr ha dovuto licenziare Vincent Aboubakar per poter tesserare Ronaldo. Ci sono altri casi come questo ma sono poco più che impicci per il PIF, un fondo il cui valore è stimato da Bloomberg in 722 miliardi di euro alla fine del 2022.
Come in ogni lega del mondo, le entrate principali di un campionato provengono dalla vendita dei biglietti, dal marketing, dalle sponsorizzazioni pubblicitarie e dai diritti televisivi, dove il campionato saudita è ancora molto indietro. Per quanto profonde siano le tasche del regno saudita, il suo campionato è in forte perdita e lo sarà per molti anni a venire.
Non ci sono veri sponsor.La pubblicità sulle maglie di Cristiano Ronaldo e Neymar, due aziende chiamate KAFD e Savvy, appartengono al PIF, che è davvero il vitello d’oro in tutta questa faccenda. Lo stesso vale per i cartelloni pubblicitari, dove le entrate da extra PIF sono per lo più simboliche. Da settimane si stanno muovendo per cercare di piazzare i diritti televisivi per trasmettere il campionato in altri Paesi, cosa che viene gestita dall'agenzia IMG come intermediario. I diritti sono ovviamente di proprietà della televisione pubblica, che ha pagato allo Stato circa 25 milioni di euro all'anno per tre stagioni. Il grande business, ovviamente, consiste nel rivendere i diritti a piattaforme straniere per ogni Paese. Data la particolarità della SPL, nessuno vuole acquistare l'intero pacchetto e ritrovarsi a trasmettere una partita Al-Fayha-Al-Hatem che 1.500 persone stanno guardando all'Al Majma'ah Sports City. Ma anche qui i problemi sono evidenti, e i riscontri minimi, come mostrano gli ascolti delle gare mostrate anche in Italia.
Fino al termine del mercato, l’attenzione del mondo del calcio sarà costantemente fissata anche sull’Arabia Saudita. Come dice Pep Guardiola, in molti fingono, persino nella ricchissima Premier, di preoccuparsi e di scandalizzarsi per la situazione, ma le squadre (e agenti/ intermediari) hanno sempre l’orecchio teso verso Ryad
E dopo il mercato? Quale sarà l’Interesse per questo calcio che, già vediamo, palesa notevoli differenze tra le star provenienti dall’Europa e i giocatori indigeni, e che non può permettersi ritmi alti nemmeno se volesse: come l’Europa, pure l'Arabia Saudita soffre di ondate di calore peggiori rispetto al passato, e questo significa che in città come Damman e Riyadh le temperature massime in agosto oscillano tra i 48 e i 50 gradi. Tutte le partite si giocano dalle nove di sera in poi, quando il clima è più tollerabile ma rimane decisamente complicato avere delle performances atletiche considerevoli.
Si dice: ma ai sauditi non importa, la loro è un'operazione d’immagine ( si parla anche della creazione di una lega femminile, a breve, in un Paese che ha permesso alle donne di guidare per la prima volta nel 2018…). Operazione di immagine che tendono a utilizzare per fini più o meno nobili.
Ma quale sarà la reazione dei calciatori, nel medio-lungo periodo? L’Arabia Saudita rimane un Paese non semplice in cui vivere, anche se le “oasi” occidentali verranno ampliate e rifornite di ogni comfort.
Il modello è talmente inedito (il paragone con la Cina, per mille motivi, non regge) che è difficile azzardare pronostici, anche perché le sorprese, in positivo e in negativo, sono dietro l’angolo.
Inshallah.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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