Marten de Roon, da dieci anni a Bergamo e ormai autentico simbolo della squadra nerazzurra, ha ripercorso in un’intensa intervista concessa a Cronache di Spogliatoio il suo percorso umano e sportivo all’Atalanta. Tra aneddoti personali, momenti indimenticabili e retroscena sul rapporto con la città e la società, il centrocampista olandese ha svelato cosa significhi realmente essere un leader silenzioso e amatissimo dai tifosi bergamaschi. Ecco quanto evidenziato da TuttoAtalanta.com
Partiamo dalla finale di Europa League: che significato ha avuto per te non giocarla?
«È stato uno dei momenti più difficili della mia vita. Ho lavorato per anni, sacrificando tutto, per arrivare a quella partita. L’Europa League rappresentava la vetta della mia carriera, un obiettivo che avevo conquistato con fatica e dedizione. Non giocarla è stato devastante, ho pianto tanto insieme a mia moglie. Mi sono sentito privato di qualcosa che meritavo davvero, non per sminuire i compagni, ma perché quella partita la sentivo mia. Ho affrontato Liverpool e Marsiglia adattandomi a ruoli diversi, anche in difesa, pur di aiutare la squadra: era il mio sogno e quella finale sarebbe stata la ciliegina sulla torta. Abbiamo vinto, è vero, ma mi resta sempre una ferita aperta per non essere stato in campo».
In quei giorni hai ricevuto tanto sostegno. C'è un messaggio in particolare che ti ha commosso?
«Sì, ce n'è stato uno che mi ha toccato profondamente. Un tifoso bergamasco mi ha scritto che grazie a me aveva riportato i suoi figli allo stadio dopo molto tempo. Mi disse che ero diventato un esempio per loro, perché incarnavo i valori di sacrificio e passione per l’Atalanta. Queste parole mi hanno fatto capire quanto fosse speciale il legame creato con la città e i tifosi».
A proposito di legami speciali, cosa significa per te lo spogliatoio?
«Lo spogliatoio è tutto, un luogo sacro in cui vivi emozioni fortissime e condividi momenti belli e brutti con i tuoi compagni. Non dimenticherò mai, ad esempio, quando ho seguito Josip Ilicic negli spogliatoi dopo un allenamento: lui era devastato, ha iniziato a piangere e mi ha abbracciato. È stato struggente, una scena che mi porterò dentro per sempre».
Ci sono anche momenti divertenti nello spogliatoio, vero?
«Assolutamente sì. Una scena indimenticabile riguarda Mario Pasalic e Charles De Ketelaere. Charles gli regalò una maglia della Dinamo Zagabria con il suo nome. Mario è di Spalato e non sopporta la Dinamo: vedere la sua reazione è stato esilarante. Questo rende speciale lo spogliatoio, quel mix di dramma, ironia e amicizia che pochi ambienti possono offrire».
Quali sono i tuoi migliori amici nel calcio?
«Qui a Bergamo ho avuto la fortuna di vivere tanti anni con un gruppo straordinario. Con Freuler, Djimsiti, Hateboer e Gosens ho creato un legame che va ben oltre il campo. Sono diventati amici veri, persone con cui condivido momenti importanti anche lontano dal calcio, e questo mi ha aiutato tantissimo a crescere come uomo e calciatore».
Parli spesso dei giovani. C'è qualcuno in particolare che cerchi di aiutare?
«Sì, ultimamente ho parlato molto con Palestra. È un ragazzo di talento con grandi potenzialità, e cerco di capire dove posso dargli un consiglio utile per aiutarlo a crescere. Allo stesso tempo, queste interazioni sono preziose anche per me, perché mi fanno capire cosa potrebbe aspettarmi in futuro, magari quando smetterò di giocare e inizierò un'altra carriera».
De Roon, leader silenzioso e simbolo della Dea, continua a essere il riferimento nello spogliatoio e nella vita quotidiana di Bergamo. Dopo dieci anni, l’amore reciproco con la città resta forte come il primo giorno, nonostante le lacrime e le gioie vissute insieme.
© Riproduzione riservata
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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