ZINGONIA - Da eroe del sabato, con quella pennellata su punizione che ha consentito all'Atalanta di rompere il ghiaccio contro il Padova, a conferenziere di lusso in un'inedita domenica di lavoro. Edgar Barreto, che nel terzetto di centrocampo di mister Colantuono gravita sulla destra a fianco del perno basso Carmona, è stato indiscutilmente il migliore in campo per i nerazzurri nella dodicesima giornata di Serie BWin. C'è la trasferta di Trieste (venerdì, ore 21) da preparare, ma ovviamente a tenere banco è ancora la prestazione monstre del paraguaiano, capace di prendersi sulle spalle l'intera squadra guidandola verso il ritorno alla vittoria.
Allora, Edgar, finalmente è arrivato il tuo primo gol in nerazzurro in gare ufficiali. Cercato e voluto a lungo.
"Una soddisfazione doppia, perché giunto in un momento molto delicato per la squadra. Il mio ultimo gol risaliva all'ultima stagione alla Reggina. L'anno scorso non avevo praticamente giocato, ma a questo giro mi sono subito accorto che avrei potuto esprimermi al meglio delle mie possibilità".
In campo hai mostrato una grinta insospettata fin dal primo minuto.
"Stavo bene e ho dato tutto, spingendo al massimo da subito perché l'occasione lo richiedeva. Mi sono detto che avrei fatto la mia parte anche arretrando in difesa e pressando sul portatore di palla. Al limite, non avessi resistito allo sforzo nel secondo tempo, avrei potuto chiedere il cambio".
E' il tuo primo gol su punizione da quando sei in Italia. Ma dove hai imparato a calciare con quell'effetto?
"Merito di mio fratello, che fa il portiere. Ci sfidavamo sempre nel giardino di casa, da ragazzini, e da lì ho preso l'abitudine di tirare i calci da fermo. Quando giocavo in Olanda nel Nimega (95 presenze e 10 reti tra 2004 e 2007, Ndr), comunque, spesso ero la prima opzione della mia squadra".
Ti ispiri a qualcuno in particolare?
"A Francisco Chiqui Arce, che ormai ha smesso ma nel mio Paese è un must quando si parla di punizioni. Ha giocato a lungo anche nel campionato brasiliano nel Gremio e nel Palmeiras, praticamente uno che ha fatto scuola".
Subito dopo il gol, sei corso sotto la Curva Sud baciandoti il braccio. A chi la dedica?
"A mio figlio e a mia moglie, che mi assiste e mi protegge molto da vicino: non a caso ho tatuato il suo nome e il mio, Ro.y.Ed, ovvero Rocio y Edgar. La mia famiglia è sempre con me e la sento vicina, quando c'è da gioire pensare a loro due mi sembra il minimo...".
L'Atalanta sembra essersi risvegliata da un lungo sonno. Anzi, da un incubo cominciato a Piacenza...
"Si trattava di eliminare i cali di tensione in cui a volte incorriamo, riuscendoci perfettamente. Ho visto i miei compagni tenere duro, difendere con determinazione e attaccare fino al triplice fischio dell'arbitro. Io ho fatto la mia parte, esattamente come tutti gli altri".
Ora le prospettive per il campionato sono decisamente più rosee.
"Eppure abbiamo soltanto vinto una partita da vincere a ogni costo. Ne mancano trenta alla fine della stagione, guai a cullarci sugli allori. La continuità è tutto per una squadra come la nostra, dotata di qualità innegabili. Ma volte oltre alla tecnica bisogna metterci la grinta e il carattere: a Piacenza, forse, ci hanno fatto difetto".
Vista la tua prestazione di ieri, a molti è venuto spontaneo rimpiangere la tua sostanziale assenza dal campionato scorso, quella della retrocessione. Solo quattro presenze e lunghi stop per infortuni e operazioni. Se ci fosse stato un Barreto in più, a questo punto la Dea sarebbe ancora in serie A?
"Mi fa molto piacere che la gente lo pensi, significa che ho dimostrato di essere un fattore importante. Però è una domanda che mi mette in imbarazzo e a cui faccio fatica a rispondere... Va detto che un giocatore da solo non può mai fare la differenza in un gruppo. E i miei compagni, nel 2009/2010, nonostante la retrocessione hanno dato tutto quello che avevano. Io mi chiedo spesso che cosa avrei potuto fare per loro e per la squadra se fossi stato disponibile, non lo nego. Però ormai è andata, adesso in A bisogna pensare a tornarci. Senza guardare al passato".
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