Quando Mateo Retegui ha deciso di accettare l’offerta-monstre dell’Al-Qadisiya, più di qualcuno ha trattenuto il fiato. L’Atalanta lo aveva appena ceduto per una cifra record – 68,5 milioni di euro – e l’Italia temeva di perdere il suo centravanti titolare, il goleador che aveva ridato profondità e concretezza al suo attacco. L’Arabia Saudita, con i suoi ritmi blandi e le sue tentazioni dorate, è spesso stata la tomba sportiva di molti talenti europei. Ma non per Retegui.
IL CAPOLAVORO DI BERGAMO – A Bergamo avevano fiutato l’occasione: un’offerta impossibile da rifiutare, la più alta mai ricevuta nella storia del club, capace di assicurare equilibrio economico e nuovo margine di crescita. Il giocatore, dal canto suo, non poteva dire no a un contratto faraonico da 20 milioni di euro a stagione per quattro anni complessivi. Un addio inevitabile, ma gestito con eleganza e riconoscenza reciproca. L’Atalanta ha perso il suo finalizzatore più implacabile, ma lo ha salutato con orgoglio.
IL DUBBIO AZZURRO – Diversa, invece, l’emozione dalle parti di Coverciano. Nello staff della Nazionale serpeggiava un pensiero preciso: e se la Saudi Pro League lo avesse "spento"? Troppi precedenti parlavano chiaro — giocatori di primo piano che, una volta trasferiti in Arabia, avevano mollato dal punto di vista mentale e competitivo. Retegui, invece, ha ribaltato il pronostico. Anzi, l’ha stracciato.
LA RINASCITA IN AZZURRO – Oggi l’attaccante argentino naturalizzato italiano è più decisivo che mai. Anche nel nuovo campionato mediorientale è partito con numeri incoraggianti – tre gol nelle prime quattro partite – ma è in Nazionale che sta vivendo la sua definitiva consacrazione.
La doppietta contro Israele, con un rigore guadagnato e trasformato e un destro a giro sotto l’incrocio, è la fotografia perfetta del suo stato di grazia. Da quando sulla panchina azzurra siede Gennaro Gattuso, Retegui ha messo insieme cinque reti e quattro assist in quattro gare, diventando il volto simbolo del nuovo corso.
UNA QUESTIONE DI TESTA – Il merito è anche mentale. Retegui è uno di quei giocatori che la comfort zone non l’hanno mai cercata. L’Arabia, per lui, è stata una sfida più che una fuga. Giocare una sola partita a settimana, lontano dalla pressione costante della Serie A, gli ha permesso di arrivare in Nazionale più riposato e concentrato, pronto a dare il meglio nei momenti che contano.
Il contesto diverso, invece di allentare la tensione agonistica, lo ha aiutato a ritrovare freschezza fisica e lucidità sotto porta. In campo è più leggero, più sereno e, paradossalmente, più feroce.
IL PARTNER IDEALE – L’Italia di Gattuso lo ha capito e gli ha cucito addosso il ruolo perfetto. In coppia con un’altra punta, Retegui sembra ancora più a suo agio: si muove meglio tra le linee, dialoga con i compagni e attacca la profondità con tempi da predatore. Le sue cifre lo dimostrano: un gol ogni 72 minuti in azzurro, con una partecipazione diretta a nove gol in quattro gare. È il bomber che l’Italia cercava da anni, e che il suo nuovo ct ha saputo esaltare senza stravolgerlo.
OLTRE LE POLEMICHE – Chi temeva che il trasferimento fosse la fine della sua parabola ascendente deve ora arrendersi all’evidenza. Retegui non ha staccato la spina, anzi l’ha riattaccata con più determinazione. È diventato un professionista globale, capace di portare la stessa mentalità ovunque giochi.
In Arabia, tra campioni e stelle in declino, lui è una presenza diversa: corre, lotta, segna, come se fosse ancora al Gewiss Stadium.
L’Atalanta lo ha salutato con orgoglio, l’Italia lo ritrova più maturo e implacabile. L’Arabia non l’ha cambiato: l’ha temprato.
Mateo Retegui, oggi, è l’esempio che il talento vero non conosce confini geografici. E mentre il mondo guarda con sospetto al calcio saudita, la Nazionale può contare su un centravanti che ha trovato la sua dimensione: lontano da casa, ma sempre più dentro la storia azzurra.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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