A tre settimane circa di distanza dalla conferenza stampa con la quale Manolo Portanova, calciatore del Genoa condannato a sei anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo, ha fatto sentire la sua voce per smentire ogni tipo di accuse, arriva, attraverso La Nazione la risposta della vittima in una lettera aperta, anonima.
“Negli ultimi anni ho scoperto di avere tanti nomignoli: Chiara, Sara, Claudia, Marta, ’quella di Portanova’, ’sicuramente una poco di buono’, ’la stuprata’ e chi più ne ha più ne metta. Ho scelto di scrivere, una scelta un po’ tarda potreste pensare… ma sapete, non è mai facile esprimere sé e il dolore quando si è in mezzo a una burrasca giudiziaria. Tutto può essere preso di mira, può essere visto da qualcuno come un piccolo enorme dettaglio per puntarmi il dito contro. Ma sono qua oggi, per rispondere a una conferenza stampa, per rispondere a chi potrebbe credere più alle parole di qualcuno rispetto all’esito di un primo grado di giudizio. Per rispondere a voi, che per salvare l’immagine continuate pubblicamente a fare dichiarazioni del tutto distorte.
Perché rispondere? Perché scrivere? Perché oltre a ciò che ho dovuto subire nella notte tra il 30-31 maggio 2021, mi ritrovo oggi di fronte a qualcuno che tenta di affossare la mia persona e mettermi in cattiva luce. Purtroppo oltre ad un tribunale giudiziario ne esiste anche uno mediatico e sociale, molto crudele, del quale con sincerità posso affermare che siamo vittime tutti. Non sono stata io a voler dare clamore a questa orribile vicenda. Però il fatto sta nel voler portare alla luce la verità.
’Ti sei scelta bene i cavalli da giocare’, dice qualcuno. Se solo sapeste quanto sia stato difficile per me riuscire anche solo a denunciare. Vi chiederete il perché. Cosa ci voglia a sporgere querela contro degli autori di reato. Denunciare significava dover ammettere, dover accettare il fatto che tutto era realmente successo. Ma soprattutto denunciare una violenza sessuale significava dover affrontare anni di svalutazioni, di insulti, anni in cui avreste provato a dire che era un gioco e che ero d’accordo. Denunciare significava affrontare processi, udienze, dover leggere articoli su articoli di giornale, dover affrontare le calunnie più malvagie.
Significava dover rivivere ogni volta quei momenti, avvocati che avrebbero tentato di rigirare ogni mia frase contro di me, che avrebbero tentato di farmi inciampare e di mettermi in difficoltà, che avrebbero provato a stravolgere il senso delle mie parole. Confesso che è esattamente ciò che è successo durante le mie 7 ore di incidente probatorio, dove ho raccontato tutta la verità, in mezzo alle lacrime e all’esasperazione. Veramente pensate che io avessi voglia di tutto questo? Che volessi passare il futuro girando tra un tribunale e l’altro? Pensate che a 23 anni, per gioco avessi intenzione di rovinarmi la vita così? Perché questo è, tutto ciò mi ha cambiata e mi ha fatto vivere momenti di buio assoluto. Non ero pronta, dovevo ancora fare i conti col dolore e coi sensi di colpa.
Quando il 1 giugno mi sono svegliata con la polizia in casa, non avevo neanche il coraggio di fare i vostri nomi… dopo quella notte e una giornata passata in pronto soccorso sarei voluta solo sprofondare in un abisso fatto di amnesia. Grazie alle persone vicine ho trovato la forza di parlare, di raccontare, di comprendere che il problema non ero io, il problema non era stata la mia scarsa forza fisica che mi aveva impedito di reagire con potenza, la colpa non era la mia, la colpa non era quella di non aver finto abbastanza bene di svenire sperando che mi lasciaste in pace, la colpa non era quella di essermi fidata di qualcuno a cui credevo di piacere anche solo un po’, la colpa non era di aver smesso di lottare fisicamente e di non aver urlato.
Ho fatto quel che andava fatto perché sapevo che se mi fossi tenuta tutto dentro, mi avrebbe divorata viva. Ho fatto ciò che andava fatto per me stessa, ho ritrovato quell’amor proprio che credevo perso. E si sa, è normale star male, anche dopo aver fatto la scelta giusta.
Ho desiderato spegnermi. Mi sono chiusa in un guscio di silenzio e freddezza, nessuno doveva chiedere, nessuno poteva sfiorarmi, anche solo farmi una carezza, nessuno. Ricordo di aver abbracciato mio cugino per primo e di avergli detto ’mi fa male tutto’. I farmaci mi hanno trasformata per mesi, ma mi hanno aiutata, il dolore negli occhi dei miei genitori non lo dimenticherò mai come l’affetto e l’aiuto di persone insospettabili.
Ad oggi, dopo essermi vergognata di me per mesi per aver dato fiducia ad uno come te, non posso che essere fiera di aver intrapreso questa strada. Per me stessa e per tutte le altre persone che sarebbero potute cadere in questa trappola. Sono fiera di me, di quanto fatto, di chi mi è stato vicino, di essermi ritrovata quando credevo di non poter sopravvivere.
Cerco di riprendere la mia vita in mano giorno per giorno e di andare avanti. Ogni volta le vostre dichiarazioni mi fanno sprofondare di nuovo nel dolore e provocano tempeste mediatiche che mio malgrado mi coinvolgono. Avete organizzato una conferenza stampa per cercare di mettere in dubbio la sentenza di condanna. Credete davvero che il Tribunale non abbia già valutato e respinto tutti gli elementi portati per difendervi? Credete davvero che avrebbe dovuto assolvervi perché, mesi dopo i fatti, ho fatto mie le parole della lettera scritta da una ragazza americana, violentata da un atleta?
Delle tante che ho scritto alla psicologa, l’unica lettera non interamente mia, una lettera a me a cuore perché in quella ragazza ho rivisto me stessa, la stessa notte di buio, lo stesso dolore e ho voluto riportarlo all’interno di un mio scritto quando ancora non trovavo parole mie per esprime l’orrore che vivevo. Non era certo un segreto, quella lettera famosa: ne hanno discusso in tribunale i miei avvocati e il Giudice ne ha tenuto conto. In quella lettera ho trovato anche una possibile via d’uscita: io accetto il dolore, tu accetti la pena, e andiamo avanti. Ti ho invitato a diventare una persona migliore, che riuscirà ad usare questa storia per fare in modo di evitare che un’altra storia come questa possa mai più succedere e ti ho offerto il mio sostegno in questo percorso.
Hai, avete rifiutato la via di uscita che con questa lettera ho offerto e avete cercato di utilizzarla contro di me, come se fosse chissà quale prova della vostra innocenza. Se cercate un perdono sociale e mediatico, accettate le conseguenze di ciò che avete scelto di fare. Una condanna in primo grado non viene emessa in maniera casuale. Se la giustizia ha fatto il suo giusto corso vi chiedo di smetterla di prendervela con me, ancora e ancora in mille modi possibili".
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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