Oggi potrebbe essere l'ultimo giorno del Paris Saint Germain. O il primo di una nuova era. Quando si parla di progetti e percorsi è limitante parlare di partite decisive, eppure nel mondo del calcio funziona così: determinate gare segnano un bivio netto e raccontano di successi o fallimenti.
Il PSG, anzi il Paris, come amano chiamarlo da un po’ per riconoscersi un legame col territorio che in realtà non pare così intenso, gioca stasera contro il Bayern, a Monaco, dovendo rimontare lo 0-1 dell’andata. In campo non ci andrà Neymar, fermo per un brutto infortunio alla caviglia che gli impedirà di rimettere la numero 10 fino a luglio inoltrato, stagione quindi finita. Si opererà in Qatar, che è la sostanziale sede del club parigino e dove hanno deciso di puntare forte sul calcio. Si è concluso da qualche mese il Mondiale, l’evento che ha messo sulle mappe questo Paese mediorientale, e che ha iniziato a occuparsi di calcio giusto da un ventennio. La puntata più grossa è arrivata proprio con l’ingaggio di Neymar.
Non tanto, non solo per l’incredibile cifra spesa, con bonus un po’ a tutti (ricchissima a piena di polemiche anche una fetta versata direttamente al padre), ma anche perché il Barcellona perdeva un pezzo chiave di un trio magico (ieri lo ricordava anche Luis Suarez, in un’intervista) e questo sceglieva di andare a Parigi, che ipso facto diventava, solo in quel momento, club di primo livello.
Neymar era stato immaginato come stella più luminosa di un parco di stelle che il Parco dei Principi doveva mostrare. In Qatar non si immaginavano niente di diverso, gestire le stelle, brillare e vincere. In tutto ciò anche i lavori dei tecnici non sono stati nemmeno troppo apprezzati, e senza Leonardo, alcuni sarebbero durati anche meno di quello che in realtà lo sono stati. Ancelotti, Tuchel (finalista di Champions), Pochettino sono stati tutti abbandonati senza capire che solo attorno a loro si poteva quella identità che il club non riusciva ad ottenere dalla società. Parigi ha una storia calcistica (Jules Rimet è cresciuto lì) ma è votata antropologicamente e storicamente all’universalismo, non al particulare: guardano e si fanno guardare dal Mondo, da tutti, non si concentrano su un club. E così che Parigi non ha avuto un club realmente di Parigi, ma più che altro squadre di quartiere.
Il nuovo corso del “consigliere strategico” Luis Campos era trovare una via nuova.Il portoghese si è un po’ specializzato in questo ruolo: nato allenatore, ha attraversato piccoli club lusitani, poi ha fatto lo scout per il Real Madrid (su invito di José Mourinho, uno dei tanti “si dice” nei suoi confronti) e quindi ha ristrutturato il Monaco (lì nasce il suo legame con Kylian Mbappé), che diventa una squadra gestita come fosse una centrale di giocatori interessanti. A Lille il successo più importanti, prima la divisione del lavoro con Bielsa, poi le incomprensioni col Loco, quindi la convocazione di Galtier e il loro percorso comune che li ha portati nella capitale francese.
In questi due ultimi passaggi, Campos ha sempre intercettato una chiave adeguata per trovare l’identità del club e quindi il suo percorso. La sua capacità di combinare la conoscenza del calcio con quella della vocazione del territorio, analizzando nello specifico cosa sono le persone e come funzionano in un gruppo. Quest'ultimo è ciò che lui chiama il "puzzle". Il puzzle è tutto, è l'aspetto tecnico-tattico e personale dei giocatori, degli allenatori, dello staff tecnico, dei dirigenti, della storia del club, della realtà in cui si trova, dei tifosi. Il progetto di un club è come un vestito da misurare: bisogna capire cosa vogliono i tifosi, qual è il contesto del club, la storia degli allenatori e dei giocatori. Far combaciare tutto questo è il mistero di come si compone un puzzle. Ecco perché Luís non può ingaggiare nessuno senza prima conoscere la persona, in modo da avere un feeling e capire se quella personalità si inserisce nel "puzzle" che è la squadra. Lui pensa sempre all'insieme, al gruppo, bisogna trovare persone che si adattino al resto. Una squadra è una questione di complementarietà e di ricchezza di diversità. Tutti diversi, ma con gli stessi valori, cioè compatibili, dentro e fuori dal campo. A Parigi è arrivato per far combaciare tutte le tessere del puzzle, ma è giunto in una realtà molto più complicata di quelle vissute in precedenza. Ha tentato di “ridurne” la grandezza, in un certo qual modo di “normalizzare” il Paris: un allenatore di provincia, qualche giocatore di sistema (Vitinha, Renato Sanches), una narrativa di club che vive come un moloch.
Ma è davvero complicato credere normale un club che ha in copertina Messi, Mbappé e Neymar, è complicato trovare una sintesi credibile e condivisa.
Il nervosismo delle ultime settimane con la discesa in campo di Montecarlo, casa sua, al Louis II, e quella ancora più fragorosa mediaticamente, al fianco del suo allenatore nella gara contro il Lille giocata al Parco dei Principi (con Galtier costretto a dire: n”on mi sono accorto nemmeno fosse vicino a me ma Luis è un passionale, non ci sono problemi”) ha creato ulteriore confusione. Forse Campos, che è pure (situazione piuttosto sui generis) consulente del Celta Vigo dove ha già cacciato un tecnico, Coudet, sostituito da Carvalhal, e certamente uomo che conosce il mondo del calcio, ha in qualche modo voluto lanciare un segnale, per quanto disperato, e far saltare il banco: creare un forte cortocircuito per ribaltare una stagione che procede mediocremente in campionato (primo in classifica ma con sul groppone già tre sconfitte e prove molto opache per quel che concerne la proposta di gioco) e stasera deve svoltare. Uscire agli ottavi vorrebbe già abdicare al nuovo progetto, anche se il profilo della normalizzazione del club ha convinto pochissimi all’interno del club da dove già sono filtrate voci su un possibile addio a fine stagione proprio di Campos.
I 90 minuti di Monaco potrebbero già essere storia.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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