Zhang che è costretto a vendere e che probabilmente lo farà nei prossimi mesi - coronando una rincorsa di qualche anno - gli Elkann e gli Agnelli che con Exor ripianano perdite di centinaia di milioni di euro, Elliott e RedBird che trovano accordo nonostante il Milan sia in passivo dagli anni ottanta, i Friedkin che non disinvestono nella Roma. Il quadro delle quattro poco virtuose del calcio italiano è questo. L'Inter che riesce ad arrivare al pareggio con un dare/avere, che finisce in finale di Champions ma che rischia comunque un bel passivo - com'è possibile? Difficile da dire - e che è costretta a vendere Onana per fare mercato. La Juve che ha le mani legate dalla cannibalizzazione della Serie A degli anni passati, quando quattordici su venti (il 70%!) dei calciatori più pagati giocavano proprio in bianconero, solo per perpetuare le vittorie. Il Milan vende Tonali per 80 milioni (dichiarati, poi vedremo sul bilancio) e fa mercato grazie a tutto il resto, dopo una politica di austerity che ha portato a perdere Donnarumma (un bene o un male?), Calhanoglu (un male) e Kessie (altrettanto). Poi c'è la Roma che con due lire fa mercato, ma Friedkin che ogni anno ripiana a botte di centinaia di milioni di euro.
La realtà è che il calcio è un gioco a sommatoria quasi sempre positiva, se fatto in una certa maniera. Certo, il modo non è regalare stipendi multimilionari come fatto dall'Arabia. E dalla stessa Italia per un sacco di anni. Ma se riesci a tenere bassi i costi - non è sempre facile, ma basta non prendere l'ennesimo ventesimo-ventunesimo-ventiduesimo giocatore della rosa a 2 milioni di stipendio cerchi un Primavera a 300 - e poi valorizzare il prodotto, non tramite i diritti televisivi ma con il campo, la situazione diventa improvvisamente buona. La realtà è che galleggiare fra l'ottava e la dodicesima posizione, come fatto da Ferrero ai tempi, porta ad avere sempre un segno positivo davanti. Poi certo, c'è chi ha una realtà migliore e chi peggiore, sia per la gestione che non per le pressioni dalla piazza.
Ma è un caso che gli unici club in netto positivo siano condotti da italiani che, anno dopo anno, vengono accusati di non investire nel club? Perché Lotito, Percassi e De Laurentiis, probabilmente gli esempi perfetti per come fare - in questo momento, per carità - calcio in Italia, vengono dipinti spesso come avari o tirchi. In un mondo in cui tutti spendono molto di più delle proprie possibilità, probabilmente questo dipinto è quello giusto. Perché noi, dal presidente del Borgorosso Football Club, pensiamo che il calcio sia patrimonio sì di chi mette i soldi. Ma anche della città, di chi tifa. Ed è sempre bello sognare. Ora, andando a vedere cosa succede realmente: la Lazio ha vinto qualche Coppa Italia, il Napoli anche più uno Scudetto nell'unico anno dove tutte le big si sono suicidate (e ora difficilmente si ripeterà), l'Atalanta ha giocato due finali di Coppa Italia e un paio di quarti in Europa. Tanto? Poco? La realtà è che se non investi cifre assurde nel calcio è complicato tu possa vincere, se non per una congiunzione astrale.
Eppure tutti vogliono investire nel calcio. Il perché è presto detto: qualche anno fa i Della Valle hanno venduto la Fiorentina, presa a zero e per cui c'erano stati ingenti spese per mantenerla in Serie A. Più o meno 150 milioni in una quindicina di anni, la cifra per cui Commisso l'ha rilevata. Stavamo attraversando anni diversi, dove Vlahovic forse veniva valutato 35 (come massimo) e non 75, mentre gli statunitensi ora si lamentano di quanto hanno speso finora, fra stadio - si farà? - e Viola Park (che è un asset del club, come se io spendessi per un mutuo e mi lamentassi che incasserò solamente fra qualche anno). Quanto vale ora la Fiorentina? È una domanda da farsi? E quanti milioni ha investito davvero Commisso nei suoi anni a Firenze? Perché se li "butto" a fondo perduto è un conto, se è un investimento che può tornarmi è totalmente un altro.
La realtà è che tutti investono nel mondo del calcio perché i guadagni sono ingenti. Certo, qualche volta bisogna metterli (come Exor), ma in generale è spesso un problema societario e non dei singoli, che percepiscono laute cedole ogni anno sotto forma di stipendio. Bisognerebbe analizzare il fenomeno al di fuori dalla questione di un possibile tifo, ma in Italia non appare possibile. È una bolla destinata a scoppiare? Probabilmente no, il calcio crescerà fino a un collo di bottiglia. Dato, più probabilmente, dai competitor che non dai club stessi.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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