Yoshinori Sakai era nato a Hiroshima il 6 agosto del 1945, poche ore dopo il lancio della bomba atomica. Fu scelto per questo motivo come ultimo tedoforo per le Olimpiadi del 1964 a Tokyo. Quella scelta evidenziava quello che quei giochi avrebbero dovuto testimoniare ed essere allo stesso tempo motore della rinascita, non solo sportiva, di un Paese.Ritornare al Mondo, quasi ritornare alla Vita.
Per cercare di essere anche competitivi, in barba a De Coubertin, i giapponesi scelsero di affidarsi a tecnici stranieri per colmare il gap che si era creato negli anni. Per il calcio, si puntò su un tedesco, Dettmar Cramer, uno studioso del gioco. Fu lui a porre le prime basi per lo sviluppo del calcio giapponese. e con lui si creò un profondo legame calcistico-umano tra Germania e Giappone. Cramer, successivamente tecnico del Bayern Monaco due volte campione d’Europa (ereditò le basi dal grande Udo Lattek, che vinse la prima delle tre Coppe Campioni dei bavaresi a metà Anni Settanta), e da quel momento modello straordinario e ineguagliato che dura ancora oggi. Cramer, che iniziò il suo lavoro in Giappone quattro anni prima delle Olimpiadi, promosse continuamento stage di tecnici nipponici verso l’Europa.
Se ancora oggi vediamo diversi giocatori giapponesi in Bundesliga, è innegabile che tutto sia partito da quel tempo e dal legame creato in quegli anni, nonostante il calcio in Giappone abbia vissuto diversi alti e bassi, in termini di popolarità e diffusione. Insieme al movimento sudcoreano è l’unico calcio credibile e competitivo dell’Asia (non a caso sono i due stati che partecipano da tempo immemore ai Mondiali), e dal 2016 ha scelto di progettare un sistema per la produzione di sempre migliori calciatori. La federazione giapponese ha creato il "Progetto DNA", un'iniziativa che mira ad adattare e modificare i metodi di allenamento esistenti per produrre calciatori più completi, con sempre maggiori conoscenze. Hanno inviato allenatori europei (un tecnico stimatissimo è Alberto Zaccheroni, che ha fatto lui pure moltissimo per lo sviluppo qualitativo di questo sport in estremo oriente). Hanno di base finalmente riconosciuto che l'insularità non poteva più rappresentare un dogma, perché il Giappone non poteva bastare a se stesso. Si sarebbe dovuti di nuovo tornare agli anni Cramer, gli anni di una totale apertura. Il tutto su basi locali, che sono fortissime, come hanno riconosciuto tanti osservatori: esiste una mentalità che tende ad estendersi alla maggior parte dei giocatori giapponesi: vogliono migliorare, si dedicano al perfezionamento della tecnica e apprezzano molto gli insegnamenti. Ma in termini di stile di gioco, c'è stato un notevole cambiamento. Come al solito il grande traino, per i ragazzi che vogliono riconoscersi in un modello definito, è avere giocatori locali che fanno bene all’estero, e in questa stagione alcuni hanno realmente over performato: Mitoma al Brighton, Takefusa Kubo alla Real Sociedad e Daichi Kamada all'Eintracht Francoforte.
Quest’ultimo parrebbe vicinissimo a sbarcare in Italia, al Milan, che troverebbe in lui quel giocatore bravo a inserirsi in un calcio offensivamente fluido ma allo stesso tempo rigorosi e di applicazione che è quello che vuole (ritrovare) Stefano Pioli.
Kamada sbarca in Germania (ancora la liason), a poco più di vent’anni, proprio all’Eintracht. Della sua formazione in Giappone si occupa anche Massimo Ficcadenti, tecnico innamorato del paese nipponico e che ha scelto di continuare lì la sua carriera di tecnico dopo gli anni di Piacenza, Cesena e Cagliari. In Germania le cose non vanno subito bene, l’intensità di quel calcio è troppo alto e con Nico Kovac non riesce a trovare spazio. Dopo un anno tra panchina e tribuna sceglie di andare in prestito in Belgio, al Saint Truiden, dove sono passati altri giapponesi. E lì inizia a leggere con sempre maggiore qualità le giocate, la sua qualità entra nei meccanismi della squadra, la fiducia cresce: il percorso è finalmente avviato. Adi Hutter gli ritaglia un ruolo nel doppio 10 sotto la punta principale, di solito Andre Silva. Kamada ha la capacità di reggere adesso quel ritmo, tanto che non disdegna l’impiego nei due in mezzo del 3421, ruolo che ricoprirà anche in nazionale.L’ultimo passo con la maglia dell’Eintracht sarà la finale del 3 giugno di Coppa di Germania contro il Lipsia. Una finale che nella prima stagione in terra teutonica gli fu negata, proprio perché ancora non era il Kamada intraprendente che vediamo oggi. Nel frattempo i rossoneri di Francoforte sono passati nelle mani di Oliver Glasner, che ha continuato a schierare Kamada proprio sottopunta ma libero di interpretare gli spazi per mettere la sua qualità al servizio della squadra. Una situazione che Kamada sente perfettamente sua, e i numeri lo testimoniano: 16 gol e 7 assist fin qui. E i numeri non raccontano dei movimenti senza palla e delle letture che il calciatore giapponese ha imparato a mettere in campo.
26 anni e una nuova sfida davanti, Daichi Kamada è quel giocatore forse non appariscente, ma che senti tantissimo in una squadra. Prenderlo a zero rappresenterebbe una ottima operazione per Maldini e Massara. I giapponesi sono pronti per un nuovo grande idolo.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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