La famiglia Pagliari ha fatto del calcio la propria vita. Quattro fratelli: Dino, Giovanni, Silvio e Ivo. Una sorella, Manuela. Due allenatori, un agente, un ex preparatore atletico, mentre Manuela, tiene la contabilità nella agenzia di Silvio, la Player Management .Una scelta, quella di affrontare la carriera di procuratore che si stacca in qualche maniera dalla canonica visione del calcio. "Qualsiasi fosse la nostra scelta di vita i nostri genitori non ci hanno mai ostacolato nel nostro percorso".
Il suo primo approccio nel mondo del calcio quando risale? "Andavo allo stadio a vedere mio fratello Dino. Ha giocato prima in Serie D nella Maceratese, club della nostra città, poi passò alla Fiorentina. Ho anche provato a giocare, ma io e Ivo eravamo meno bravi degli altri nostri fratelli. Ho giocato fino ai 25 anni, poi ho capito che era meglio smettere per fare qualcos'altro".
Quindi ha preferito la scrivania alla panchina. "Mai pensato di fare l'allenatore. Ho cominciato a fare l'osservatore per la Fidelis Andria sotto la guida di Angelozzi. Questo per un paio d'anni, fino a quando non è arrivata l'opportunità di tornare a casa".
Alla Maceratese, dunque. "Ho fatto prima il responsabile del settore giovanile, poi sono diventato direttore sportivo. Nel '95-'96 abbiamo vinto il campionato con Colantuono capitano. Poi le varie esperienza formative con Ancona in Serie B, la vittoria del campionato di C2 con il Taranto e la C1 con l'Avellino".
Poi l'approdo alla Sampdoria con Marotta. Come vi siete conosciuti? "Avevamo un amico comune fuori dal calcio, ci siamo conosciuti e dopo poco tempo mi ha chiamato. Devo dire che è stata una bella esperienza formativa. Con Marotta ho avuto l'opportunità crescere, di imparare da chi ne sapeva certamente più di me. Da lui ho capito che la pazienza è una buona virtù. In due anni non gli ho mai visto perdere la calma".
I rapporti sono rimasti buoni con il passare del tempo? "C'è sempre grande stima e rispetto, ci mancherebbe altro, ma è chiaro che uno deve guardare ai propri interessi". Vedi la situazione di Gabbiadini? "Ecco, appunto". Il settore giovanile della Samp che poi ha sfornato buoni giocatori."Qualcheduno l'ho portato. Da Marilungo a Diakité (prelevato direttamente a Parigi, ndr), da Cacciatore a Soddimo. Per 5/11 la squadra che ha vinto il Tricolore con Pea faceva parte del mio settore giovanile". Qualche rimpianto? "Si, si chiama Alessandro Romeo. Si infortunò al crociato svariate volte quando giocava con la Primavera. Aveva un bel carattere, sarebbe diventato un buon calciatore. Davvero un grande rammarico".
Poi il desiderio di cambiare mestiere, restando sempre nel mondo del calcio. "Dopo 12 anni avevo capito di voler dare una svolta alla mia vita e alla mia carriera. Volevo creare qualcosa di mio, lavorare cercando di creare un progetto. E così è stato".
Quali difficoltà ha trovato all'inizio di questa nuova esperienza?"Ovviamente sapevo che i risultati non sarebbero arrivati subito, ma con il tempo. Il nostro è un lavoro dove serve pazienza e umiltà. I primi giocatori li andavo a scovare nei campetti di periferia".
Iniziò la sua nuova esperienza con due volti conosciuti nel mondo del calcio: Stefano Antonelli e Danilo Caravello. "Sì, una volta terminato il mio percorso con la Sampdoria andai a lavorare con loro. Poi quando Stefano ci lasciò per intraprendere il ruolo di direttore sportivo (Ci siamo dati il cambio, in pratica), io e Danilo decidemmo di prendere strade diverse".
Torniamo alla famiglia. Dino è sicuramente il fratello più famoso. Anche per la capigliatura. "Non fatevi ingannare da Dino e dal suo look. E' un buono, forse anche troppo. Tra noi fratelli Giovanni è sicuramente il più scherzoso e simpatico, mentre io, Dino, Ivo e mia sorella Manuela siamo più riservati".
Da uomo di calcio un giudizio sui suoi fratelli allenatori Dino (tecnico del Pisa) e Giovanni (tecnico dell'Aquila) ce lo deve dare. "Difficile dare un giudizio sui fratelli come tecnici. Sicuramente posso dire che lavorano molto bene sul campo e che avrebbero meritato una carriera diversa in categorie superiori".
Ivo, invece, ha scelto un'altra strada... "Per quindici anni ha fatto il preparatore atletico, ma adesso ha deciso di affrontare la carriera di professore di educazione fisica".
Si prende cura anche delle situazioni dei fratelli allenatori? "I fratelli sono maturi per gestirsi in maniera autonoma".
Tra i suoi assistiti scoviamo nomi come quelli di Donati, appena passato al Bayer Leverkusen, Di Cesare, Frison, Giorgi e tanti altri. Gabbiadini e Marilungo, in quanto attaccanti, sono però quelli che forse le hanno regalato maggiori soddisfazioni.
"Manolo mi fu segnalato e quando andai a vederlo rimasi subito attratto da questo ragazzo mancino che giocava del Montichiari. E' un ragazzo eccezionale, sono sicuro che farà grandi cose". Chi è più forte: lui o sua sorella? "La prima volta che entrai a casa Gabbiadini feci una brutta figura perché notai una bella stanza piena di trofei, e ovviamente pensai che fossero di Manolo. Erano invece di Melania. E' fortissima, segna spesso. Di viso si somigliano molto, in campo sono diversi. Lei poi è destra".
Marilungo? "Aveva 13 anni e mezzo quando lo scovai e lo portai alla Samp. Mi colpì subito per le sue qualità, marchigiano come me. Quando comincia a fare il procuratore lo presi sotto la mia gestione; con il padre era nato un rapporto davvero forte. Guido è cresciuto in fretta, ha perso la mamma da piccolo. Da ragazzino era già consapevole della sua forza. Ha un carattere straordinario, che lo aiuterà a recuperare dall'infortunio".
Tra le sue scoperte c'è anche Cristian Bucchi. "Cristian lo scoprii durante una partita di Eccellenza. Mi ricordo ancora bene quella giornata: si giocava una gara di recupero di mercoledì; fece una doppietta di testa, aveva un fiuto del gol eccezionale. Dicevano tutti che più della Serie C non avrebbe mai fatto, io ho sempre pensato che se uno vede la porta non ha categorie. Al Perugia costò 120 milioni di lire".
Capitolo giovani, una tematica a lei cara: in Italia si fa sempre più fatica a farli sbocciare. "Parto con un altro concetto, quello del lavoro sui giovani. La mia agenzia vanta 11 ragazzi nelle varie Nazionali. Questo è un segnale evidente del lavoro che viene fatto. Sono il primo a puntare sui giovani talenti italiani, chiaro che poi devo soddisfare le loro richieste".
Giulio Donati, per esempio, dopo l'ottimo Europeo con l'Under 21 ha scelto il Bayer Leverkusen. L'Inter non ci ha creduto? "L'Inter non ci ha creduto, ma in compenso apprezziamo il fatto che non abbia ostacolato le scelte del ragazzo. La tendenza sta cambiando, il nostro è diventato un paese esterofilo. Questa nuova generazione di 20enni sente il bisogno di andarsene via per giocare fuori dall'Italia. E noi agenti dobbiamo rispettare la loro volontà, ovvero quella di dare ai nostri ragazzi l'opportunità di crescere".
Vista la tradizione della famiglia Pagliari cosa si aspetta dai suoi figli? "Riccardo e Andrea non seguono molto il calcio e in questo senso hanno preso da mia moglie Barbara, che fortunatamente non tocca spesso l'argomento pallone. Gli auguro di fare un lavoro che gli piaccia. L'importante è portare avanti le proprie cose con la perseveranza, una dote che riscontro pochissimo in giro".
Autore: Redazione TA / Twitter: @tuttoatalanta
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