Tifoso da sempre, voce riconoscibile di Telenova e penna affilata con otto libri all’attivo. Maurizio Lorenzi – scrittore, giornalista e telecronista delle partite dell’Atalanta a Novastadio su Telenova – racconta la Dea con passione, lucidità e uno sguardo che va oltre il risultato. In questa intervista esclusiva a TuttoAtalanta.com ripercorre la sua storia nerazzurra, analizza un presente fatto di cambiamenti e incognite e guarda al futuro con ottimismo ragionato. Tra ricordi di Curva, il caso Lookman e le nuove sfide in Champions, Lorenzi ci porta dentro il mondo Atalanta di oggi e di domani.
Maurizio, dove nasce questa passione?
«L’Atalanta è sempre stata la mia squadra del cuore. Sono un tifoso di vecchia data e, da bambino, sognavo di fare il telecronista: in parte l’ho realizzato e mi diverto molto».
Andavi allo stadio anche da ragazzino?
«Fin da bambino. Ricordo la prima partita nel 1981: Atalanta–Foggia 1-0. Ero in Curva Sud con mio papà, avevo otto anni. In porta c’era Mirko Benevelli e vincemmo con un rigore di Magrin. È stata la mia “sliding door” sportiva: da lì ho seguito sempre l’Atalanta. Poi anni di abbonamento e tante trasferte. Oggi spesso la seguo in TV perché sono in studio; altrimenti sono in tribuna stampa: allo stadio capisci meglio le alchimie tattiche. L’Atalanta è una delle mie grandi passioni».
Ne hai vissuto tutta la crescita.
«Dagli anni ’80 a oggi, compreso l’incredibile percorso degli ultimi nove anni. Siamo passati dal lottare per salvarci – con l’orgoglio di una provincia coraggiosa – al “caviale e champagne”. Prima si faticava per ogni punto, oggi la dimensione è cambiata, ma quel DNA di grinta resta».
Secondo te l’Atalanta ha già raggiunto l’apice?
«Credo di no, per due motivi. Primo: sono ottimista di natura e penso che il meglio debba ancora venire. Secondo: la famiglia Percassi è molto ambiziosa. La gestione – oggi influenzata anche dalla proprietà americana – punta a una crescita costante di strutture, mentalità e risultati. Non si può overperformare ogni anno: possono esserci stagioni al ribasso, ma la Dea ha dimostrato continuità ad alti livelli anche cambiando uomini in panchina e in campo. Il culmine attuale è l’Europa League, ma non mi pongo limiti: se abbiamo vinto un trofeo europeo quando in pochi ci credevano, possiamo stupire ancora».
Potrebbe succedere già quest’anno o sarà un’annata di transizione?
«Annata difficile da decifrare. È cambiata la guida tecnica: non abbiamo più in panchina il nostro “Ferguson italiano” dopo nove anni. È arrivato un tecnico sulla scia del precedente, ma reduce da una stagione negativa, quindi qualche punto interrogativo c’è. I primi risultati e le prestazioni non sono stati esaltanti. La vittoria col Lecce ha rischiarato il cielo, ma è presto. C’è poi la variabile Lookman: la gestione societaria è stata corretta, ma tecnicamente la sua assenza pesa e non è stata compensata. O si recupera il giocatore o in attacco perdi tanto. Detto questo, ricordo che anche con Gasperini l’avvio fu turbolento: poi ingranammo. Serve pazienza – difficile chiederla ai tifosi – ma Juric merita tempo e fiducia, e la squadra deve amalgamarsi».
In che senso l’Atalanta potrebbe essere una sorpresa?
«Tanti ci collocano dietro le prime 6-7. Pochi ci considerano. Questo può essere benzina emotiva per dimostrare, in Italia e in Europa, che la Dea c’è ancora. Aspettative più basse possono diventare una molla. Io resto ottimista: possiamo fare un’ottima stagione».
Sei d’accordo con chi dice che Lookman è insostituibile?
«Tecnicamente sì. In rosa non c’è un profilo con le sue caratteristiche e pochi club in Serie A ne hanno uno. Oggi la sua assenza accentua i problemi offensivi. La gestione del caso è stata esemplare: club serio, forte economicamente, niente svendite e un messaggio chiaro sul rispetto della maglia. I tifosi stanno con la società, pur sperando che il giocatore faccia un passo indietro: più che scuse, mi aspetto che torni, incida e faccia il suo dovere. Conta l’Atalanta, non Lookman».
Hai sempre difeso Juric: perché?
«Non è possibile ricondurre tutto all’allenatore. Mancano o sono mancati Scamacca, Ederson, lo stesso Lookman, Kolasinac: titolari dell’Atalanta che ha fatto faville in Europa. Oggi la rosa utilizzabile è inferiore a quella dello scorso anno: non si può addossare tutto a lui dopo tre mesi. Anche Gasperini, con queste assenze, non farebbe molto meglio».
La vittoria con il Lecce fa meglio al morale o alla classifica?
«Leggermente più al morale, pur essendo preziosa per la classifica. Ridà autostima a squadra e ambiente, soprattutto prima della trasferta dai campioni d’Europa. Presentarsi a Parigi senza aver battuto il Lecce sarebbe stato pesantissimo. Ora si va in Europa con più consapevolezza: possiamo perdere, ma l’importante è mostrare identità. In Europa abbiamo spesso brillato: Parigi è un’altra tappa della crescita».
Il girone di Champions è più o meno abbordabile rispetto allo scorso anno?
«Direi discretamente affrontabile. Al di là dell’esordio col Paris Saint-Germain – partita sulla carta proibitiva – e tolto il Chelsea, le altre gare sono alla nostra portata: in alcune partiamo alla pari, in altre anche avanti. Più che fare tanti punti, conta dimostrare che la Champions è la nostra platea naturale: va giocata con gioia, senza ansie».
Finora cosa ha funzionato e cosa no?
«Tre gare, segnali in chiaroscuro: prime due più “scure”, col Lecce meglio. Positivi i progressi di De Ketelaere: può e deve diventare leader tecnico e carismatico, sa fare entrambe le fasi, segna e fa assist. Davanti mi sento tranquillo: Krstovic al posto di Scamacca, e Scamacca quando rientrerà, sono garanzie. Le incognite sono a sinistra: Sulemana e Maldini oggi non paiono titolari da alto livello. Zalewski sta facendo bene: lo vedo sempre più da esterno alto a sinistra ed è ottimo sui piazzati. A centrocampo: De Roon senza Ederson fa più fatica, perché Pasalic non ha lo stesso passo. A destra Bellanova alterna cose buone a imprecisioni: deve aggiungere 4-5 gol a stagione, come fa Zappacosta, che spesso sposta l’ago della bilancia. Dietro sono relativamente sereno: Carnesecchi è una garanzia; i centrali sono colonne. Kolasinac tornerà e farà da chioccia ad Ahanor (che spero sia la sorpresa dell’anno, ha solo 17 anni). Hien e Scalvini (in recupero) sono certezze insieme a Kossounou».
Con il Torino che partita ci dobbiamo aspettare?
«Complicata. Il Toro è ripartito con una vittoria a Roma, smentendo i pronostici: in questo avvio è difficile azzeccare i risultati. Sulla carta sono più bravi ad attaccare che a difendere, ma all’Olimpico hanno fatto il contrario. L’Atalanta arriva da una gara di Coppa dispendiosa. Sono curioso di vedere come Juric gestirà il suo primo doppio impegno: non ha mai avuto una squadra su due fronti. Fare bene col Toro, prima di andare dalla Juve, darebbe una spinta notevole».
Il tuo ottavo libro, “Dna ignoto: profilo criminale”: di cosa tratta?
«È un romanzo poliziesco ispirato, liberamente, al caso Yara Gambirasio. Ho ricostruito fatti, coincidenze e circostanze per offrire al lettore strumenti utili a formarsi un’idea propria e compiuta».
L’Atalanta del presente è un cantiere aperto, ma con fondamenta solide e una storia recente che parla da sola. Maurizio Lorenzi invita alla pazienza e alla fiducia: tra difficoltà da gestire e segnali incoraggianti, la Dea può ancora sorprendere. Forse proprio quest’anno, lontano dai riflettori, tornerà a stupire. Perché – ricorda Lorenzi – «il meglio deve ancora venire»: per chi ama davvero l’Atalanta, non è solo un auspicio, è una promessa.
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