La prima Atalanta targata Palladino non poteva nascere nel contesto peggiore: pochi allenamenti, un avversario superiore, un ambiente ferito. Eppure, dentro la notte del Maradona – fatta di limiti riemersi, errori già visti e fatiche evidenti – si è intravisto qualcosa che può diventare un punto di ripartenza. Piccolo, fragile, ma reale.

ATALANTA A DUE FACCE – Il copione è rimasto lo stesso degli ultimi mesi: una squadra divisa in due, impalpabile nel primo tempo, più viva nella ripresa. La crescita dopo l’intervallo – pur favorita dall’abbassamento del ritmo del Napoli – ha comunque evitato il tracollo psicologico: «Sul 3-0 potevamo crollare, invece la squadra ha reagito», ha ricordato Palladino. Ed è un dettaglio che, oggi, vale più del punteggio.

TEMPO ZERO PER PALLADINO – Il nuovo tecnico non ha responsabilità: ha avuto il gruppo al completo solo per una manciata di ore. La struttura tattica è rimasta quella conosciuta dai giocatori: non c’era spazio per rivoluzioni. Così sono riemerse tutte le lacune del periodo Juric: lentezza, errori tecnici, un centrocampo scarico, una fase difensiva vulnerabile e una costruzione povera di idee. Ederson è apparso lontanissimo dalla sua miglior versione, de Roon in evidente difficoltà.

PROBLEMA DI GIOCO E DI TESTA – Il tema mentale resta centrale. L’Atalanta non riesce a sprigionare intensità, fiducia, aggressività. Palladino dovrà lavorare sul cervello dei suoi: ritrovare la brillantezza dei singoli è la prima chiave per far ripartire il collettivo. Con Juric il progressivo spegnimento dei giocatori era diventato cronico: ora il primo dovere è riaccenderli uno a uno.

LA QUESTIONE OFFENSIVA – La povertà di pericoli creati non è (solo) scelta tattica. Il 3-4-1-2 senza un centravanti puro può funzionare – con Gasperini faceva faville – ma richiede una squadra in salute. A Napoli, De Ketelaere e Lookman hanno giocato troppo larghi, incapaci di incidere. Pasalic, nella gabbia a tre dei partenopei, ha perso funzione e senso, vagando senza trovare la zona d’impatto.

NAPOLI, OSTACOLO MASSIMO – La mancata “scossa” post esonero non è quindi una bocciatura. Il Napoli era semplicemente l’avversario peggiore nel momento peggiore: ferito, sotto pressione, obbligato a vincere. L’Atalanta ci è arrivata scarica, incompleta, con troppe incognite fisiche e tecniche.

SCAMACCA, IL SEGNALE PIÙ IMPORTANTE – L’unica luce piena della serata viene da Gianluca Scamacca - sottolinea L'Eco di Bergamo -. Tornato in campo all’intervallo, ha segnato un gol meraviglioso e – soprattutto – ha ridato peso, presenza, coraggio alla squadra. È lui il giocatore da cui deve ripartire tutto. Scamacca crea, rifinisce, dà profondità e finalizza: è l’uomo che può portare la Dea fuori dal tunnel.

LE PRIME SCELTE DEL TECNICO – I cambi di Palladino hanno funzionato: Scamacca, Kossounou, Zalewski hanno dato risposte immediate. Sono segnali preziosi in vista di Francoforte, dove la Dea si gioca un pezzo importante della sua Champions, competizione dove – paradossalmente – la situazione è molto più serena che in Serie A.

LA RIPARTENZA PASSA DA FRANCOFORTE – L’esordio di Palladino non poteva essere un giudizio: era un punto zero. Il lavoro vero inizia ora, con una squadra che aspetta solo di essere riaccesa. L’identità, l’intensità, la brillantezza dei singoli: tutto è da ricostruire. Ma senza gettare via ciò che si è visto nel secondo tempo: un abbozzo di reazione, fragile, ma reale.

Il crollo del Maradona racconta una verità semplice: la nuova Atalanta vive ancora dei problemi della vecchia. Ma dentro quella notte difficile, Palladino ha trovato un indizio fondamentale: Scamacca è vivo, e può trascinare. E se il centravanti torna ad accendersi, anche la Dea può tornare a farlo. Da qui deve partire la risalita.

© Riproduzione riservata

Sezione: Primo Piano / Data: Lun 24 novembre 2025 alle 07:00
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
vedi letture
Print