Ha venduto l’Atalanta nel giugno del 2010 e si è ritirato nella sua vita privata, circondato dai suoi cari e, soprattutto, dai suoi affari. Ora, però, Alessandro Ruggeri ha deciso di rompere il silenzio, quel silenzio durato un anno e mezzo. E per farlo ha scelto le colonne di Bg Sport Magazine.
Il divorzio da Delneri, la spinosa questione Costinha, il suo rapporto con Giacobazzi, l’inferno della retrocessione e la dolorosa vendita della società tanto amata dal padre: quello che vi presentiamo è un Alessandro Ruggeri inedito, che si è raccontato a 360 gradi mettendosi completamente a nudo e senza lasciare nulla in sospeso. Un Alessandro Ruggeri che, tolti i panni - a volte scomodi - del presidente di un club amato e seguito qual è l’Atalanta, si è potuto aprire come forse mai aveva fatto davanti a un taccuino, facendo luce su fatti e vicende che hanno caratterizzato i due anni e mezzo che l’hanno visto al timone della società di Zingonia.
Per l’Atalanta l’era Ruggeri è ufficialmente finita nel giugno del 2010, dopo 16 anni di presidenza della sua famiglia: qual è il suo bilancio?
“Non può che essere positivo. Penso che in 16 anni la mia famiglia abbia fatto grandi cose al comando dell’Atalanta, vendendola a persone affidabili e senza un euro di debito. Una cosa splendida visti i tempi che corrono, anche perché, ve lo posso assicurare, gestire una società di calcio è dannatamente difficile”.
E cosa c’è dei Ruggeri nell’Atalanta che scende in campo oggi?
“C’è ancora molto, soprattutto nei nomi dei giocatori: da Consigli a Padoin, da Bellini a Manfredini, da Gabbiadini a Bonaventura. E io ci aggiungo anche Schelotto”.
Una vostra scoperta.
“Esatto. Ricordo ancora quando Bruno Carpeggiani mi ha portato un dvd amatoriale con le sue gesta sportive: non ci ho pensato due volte e l’ho fatto prendere“.
Quanto avete speso per Schelotto?
“Circa 500mila euro. Ed ora vale almeno venti volte tanto”.
Oggi, così come ai vostri tempi, l’Atalanta continua a puntare sui giovani: secondo lei è sempre questa la strada giusta?
“Beh, questa è la dimensione dell’Atalanta. Del resto non tutti possono permettersi di costruire le squadre come fanno il Real Madrid o il Manchester City, staccando un assegno dietro l’altro”.
Anche Colantuono sta puntando molto sui giovani…
“Stefano è sempre stato beccato dai giornalisti perché, a loro dire, non ha mai amato lanciare i giovani, ma io non sono mai stato d’accordo con queste “accuse”: per me un ragazzo deve giocare solo e quando se lo merita, e Stefano non ha mai avuto problemi a far giocare i giovani”.
Qual è il suo rapporto con Colantuono?
“Splendido. Ci sentiamo spesso e più di una volta, negli ultimi mesi, è anche passato a trovare papà”.
E che ci dice delle voci che sostengono che i rapporti si erano incrinati nell’estate del 2007, dopo il passaggio del tecnico al Palermo?
“Da parte nostra un po’ di amarezza c’è stata, anche perché Stefano, due mesi prima di chiedere di essere liberato per il Palermo, aveva ottenuto il rinnovo del contratto che tanto desiderava. Penso che in quel momento chiunque ci sarebbe rimasto male. Ma ora tutto è stato messo alle spalle”.
Senza nessuno strascico?
“Assolutamente. E dovete sapere che, qualora fossi rimasto al comando dell’Atalanta, sarebbe stato lui l’allenatore della stagione 2010-’11. Di firmato, ovviamente, non c’era nulla, ma l’accordo era praticamente già stato trovato”.
Parliamo di un’altra figura molto legata all’era Ruggeri: Cristiano Doni.
“Sicuramente Doni è stato un simbolo dell’Atalanta guidata dalla mia famiglia ed ora mi dispiace per quello che sta passando. Mio padre, quando ha capito che esisteva una possibilità, l’ha voluto riportare a Bergamo a tutti i costi nonostante lo scetticismo di molte persone. Cristiano, allora, è stato capace di dimostrare a tutti il suo valore sul campo”.
Che idea si è fatto dell’intera vicenda?
“Nessuna perché per farsi un’idea bisogna esserci dentro. Io una cosa del genere l’ho vissuta nell’estate del 2008, quando accusarono Bellini di aver combinato quel famoso Atalanta-Livorno di fine campionato: posso assicurarvi che in quei due mesi ho perso degli anni di vita. Non riuscivo ad accettare che qualcuno, con delle accuse assurde, potesse infangare la storia centenaria dell’Atalanta. E, per fortuna, alla fine ne siamo usciti puliti”.
La rabbia per il -6 in classifica può aver dato una spinta in più a questa Atalanta?
“No, non credo. Penso invece che l’Atalanta stia facendo queste grandi cose perché è stata costruita da gente seria e competente”
Cosa pensa di Antonio Percassi?
“Lo reputo un grandissimo imprenditore, uno che ha saputo costruirsi un vero e proprio impero partendo da zero. Con lui ho un ottimo rapporto: ci tengo a farlo sapere perché ultimamente ho sentito dire che tra noi non corre buon sangue. Sono tutte cazzate”.
E’ un Alessandro Ruggeri in pace col mondo…
“Beh, qualche sassolino nella scarpa ce l’ho pure io”.
Prego.
“Ho appena detto che tra me e Percassi c’è un ottimo rapporto, ma voglio aggiungere che in questa nuova Atalanta ci sono anche un paio di persone che, dopo l’uscita di scena della mia famiglia, si sono dimostrate veramente piccole. Fare nomi e cognomi penso che sia inutile, credo e spero che il tempo mi darà ragione”.
Cosa l’ha amareggiata di più di queste persone?
“Il fatto che si trattava di figure di cui mio padre si fidava molto”.
Che ci dice di Cesare Giacobazzi, il personaggio più contestato e preso di mira dai bergamaschi negli ultimi anni.
“Durante la mia gestione l’Atalanta ha presentato dei bilanci splendidi anche grazie a questa persona che, non a caso, era l’uomo di fiducia di mio padre. Credo che Giacobazzi abbia svolto il suo lavoro nel migliore dei modi anche se, questo lo devo ammettere, qualche errore alla fine è stato fatto”.
Perché c’è stato questo accanimento dei tifosi nei confronti di Giacobazzi?
“Questo non lo so. Ma devo anche dire che nei miei ultimi mesi di presidenza qualcuno, all’interno dell’ambiente bergamasco, aveva un po’ perso di vista i ruoli. Mi spiego meglio: i tifosi pagano ed è giusto che contestino, i giornalisti lavorano ed è giusto che dicano la loro. Ma sarebbe stato meglio se tutti si fossero ricordati che le decisioni, alla fine, le doveva prendere la società. Anche perché, quando arrivava il momento di chiudere il bilancio, se mancava un milione di euro ci doveva pensare la famiglia Ruggeri”.
Quando ha capito che era giunto il momento di vendere il pacchetto di maggioranza della società?
“Dopo la retrocessione. Quell’anno troppe cose non erano andate bene e si erano venute a creare diverse situazioni poco piacevoli. La famiglia Ruggeri si è fatta da parte per il bene dell’Atalanta, ma l’ha fatto assicurandosi di lasciare la società in mani serie”.
Avete ricevuto altre offerte oltre a quella di Percassi?
“Certo, alcune anche più allettanti. Ma, non conoscendo le persone che si stavano facendo avanti, abbiamo preferito dire di no”.
Ma cos’è successo in quella disgraziata stagione che vi ha portato in Serie B?
“Nulla di particolare. E’ stata un’annata storta, iniziata male e finita peggio. Eppure, secondo me, per quella stagione avevamo preparato la miglior squadra degli ultimi anni. Faccio solo due esempi: Acquafresca lo voleva mezza Serie A, Barreto era uno dei centrocampisti più forti in circolazione”.
Qualcuno ha detto che i vostri mali sono iniziati con la scelta di Angelo Gregucci, un allenatore troppo poco esperto per la massima serie.
“A quel qualcuno rispondo con una domanda: che esperienza aveva Guardiola quando ha preso la guida del Barcellona?”.
Gregucci era la prima scelta quell’estate?
“No. Noi volevamo subito Antonio Conte. Con il tecnico pugliese ho iniziato a parlare a maggio, quando col suo Bari è venuto a giocare a Bergamo contro l’AlbinoLeffe. Ma poi, una volta conquistata la Serie A, Conte ha deciso di restare con la famiglia Matarrese e noi ci siamo mossi diversamente, prima su Ballardini e poi su Gregucci che, a quel punto, era diventato la prima scelta”.
Conte è poi arrivato qualche mese dopo. Con quella scelta pensava di aver raddrizzato la stagione?
“Inizialmente sì, e i risultati ci stavano dando ragione. Poi, però, qualcosa si è rotto”.
Parla di quel Livorno-Atalanta che ha portato alla prima sconfitta dell’era Conte?
“Esatto. Ma quello che è successo a Livorno è giusto che resti tra i protagonisti di quel fattaccio”.
E che ci dice di Conte? A Bergamo non ha lasciato un buonissimo ricordo.
“Io posso solo dire che Antonio con noi è stato un signore, un uomo vero: dopo quel maledetto Atalanta-Napoli non avevo scelta, lo dovevo esonerare e lui lo sapeva bene. Ma ha deciso di rinunciare al suo contratto e si è dimesso prima che io lo licenziassi. Vi posso assicurare che è difficile trovare persone del genere”.
Forse sarebbe stato meglio tenere Delneri?
“Noi Delneri abbiamo provato a tenerlo in tutti i modi ma il mister, com’è normale che sia, aveva altre ambizioni per la sua carriera. E’ stato lui a voler partire dopo le due annate positive che aveva vissuto qui a Bergamo, tant’è che quando ci siamo seduti per iniziare una trattativa - che alla fine non c’è nemmeno mai stata - non abbiamo mai parlato di cifre, di programmi o di calciatori”.
Il mancato arrivo di Corradi, dunque, non c’entrava nulla?
“Nella maniera più assoluta. Anche se di cazzate ne ho lette davvero tantissime in quel periodo”.
A proposito di giornalisti, è vero che lei non ama molto la categoria?
“Se vi dicessi di no mentirei. Ma d’altronde, soprattutto a Bergamo, è difficile amare certi giornalisti che sono convinti di sapere tutto sul calcio quando invece sanno poco o niente. Pensate che quando ero presidente cercavo sempre di evitare una trasmissione che viene trasmessa ogni lunedì sera da un’emittente locale”.
Perché?
“Perché se l’avessi seguita non avrei resistito alla tentazione di telefonare in diretta per massacrare tutti. Certi giornalisti io preferisco definirli giornalai, senza nulla togliere a questa categoria: ricordo quando c’era chi ci prendeva in giro per l’acquisto di Osvaldo, attaccante che quest’estate la Roma ha pagato 17 milioni di euro, o quando certi giornalai ci bacchettavano per l’arrivo di Floccari che due anni dopo si sarebbe rivelato uno dei più grandi affari dell’a storia dell’Atalanta”.
Restando in tema di giornalisti, qualcuno allora ha definito la sua Atalanta poco “bergamasca”.
“Questa cosa mi ha sempre fatto ridere. Alla fine che cos’è questa “bergamaschità” di cui sentivo parlare? Criticavano la mia dirigenza perché non tutti i suoi componenti erano nativi di Bergamo, ma vorrei far notare che quelli attuali non sono poi così orobici. Non scherziamo per favore, siamo alle soglie del 2012 e non ci possiamo fermare davanti a queste barriere ridicole”.
Che ne dice di fare luce sul caso Costinha? I tifosi, alla fine, non hanno mai saputo cosa fosse successo veramente tra la società e il portoghese.
“La verità è una sola: Costinha era un giocatore finito. Dalle viste mediche sembrava tutto apposto, ma si trattava comunque di un giocatore arrivato alla fine della sua carriera che non ha mai avuto la dignità di farsi da parte. E l’ho dovuto pagare fino alla fine”.
Altra scelta che ha fatto discutere nei suoi due anni a mezzo di presidenza è stata quella legata al ritorno di Bobo Vieri in nerazzurro. Come ha vissuto quelle contestazioni?
“L’ho detto prima: i tifosi pagano ed è giusto che contestino quando qualcosa non va, però poi devono anche saper restare al loro posto. La società allora ha fatto delle scelte che anche io reputavo corrette, Vieri quell’anno non ci ha potuto dare tanto sul campo ma nello spogliatoio la sua presenza è stata preziosa”.
Insomma, lei rifarebbe tutte le scelte che ha fatto in quei due anni e mezzo?
“Tutte, dalla prima all’ultima. Vieri compreso”.
Ci dice il nome di un giocatore che per anni è stato un suo pallino ma che non è mai riuscito a prendere?
“Fabrizio Miccoli. Ricordo che mio padre lo stava per portare a Bergamo nel 2000, prima che arrivasse la Juventus”.
E cosa fa oggi Alessandro Ruggeri?
“Oggi, oltre a seguire le aziende di famiglia, mi occupo ancora di calcio. Ma ora lo faccio girando il mondo. In questi ultimi mesi ho visto tantissimi giocatori stranieri - soprattutto africani - e diverse realtà calcistiche, e vi posso assicurare che in Italia siamo lontani anni luce dal calcio inglese, da quello spagnolo e da quello tedesco”.
Parla delle strutture?
“Sì, purtroppo sì. Se non ci diamo una mossa tra qualche anno saremo al pari della Grecia, della Danimarca e dell’Albania”.
Bergamo, però, con Percassi pare essere sulla strada giusta per il nuovo stadio, è d’accordo?
“Assolutamente sì. Sono sicuro che l’Atalanta nel giro di 5-6 anni avrà il suo stadio nuovo”.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com
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