Lunedì 8 settembre a Debrecen e il 14 ottobre a Udine: due sfide di qualificazione al Mondiale 2026 che, per l’Italia, valgono ben più dei punti in classifica. Gli incontri contro Israele sollevano domande scomode: si deve giocare normalmente, ignorando il dramma di Gaza, o è necessario un gesto simbolico di fronte a una crisi umanitaria di proporzioni storiche?

UN PASSATO COMPLICATO – La storia calcistica di Israele è sempre stata intrecciata con la geopolitica. Dall’espulsione dall’AFC negli anni ’50, passando per i gironi improbabili con Oceania e Sud America, fino all’approdo in UEFA nel 1994. Per decenni, lo sport è stato lo specchio della condizione politica del Paese: l’isolamento, la diffidenza, la percezione di accerchiamento. Dinamiche che hanno alimentato tensioni e rifiuti, spesso speculari alla condizione dei palestinesi, confinati in una terra senza piena statualità.

DAL 7 OTTOBRE AL PRESENTE – L’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 ha rappresentato una frattura epocale - approfondisce Sky Sport nella rubrica Sky Insider - . Da quel momento la reazione israeliana su Gaza ha alimentato un dramma che mette in discussione i limiti tra legittima difesa e proporzionalità. Quanti innocenti devono morire prima che la ragione si trasformi in torto? Lo sport, ancora una volta, si trova a fare da cassa di risonanza.

LO SPORT E IL DIRITTO – La Russia è stata esclusa dalle competizioni perché “aggressore”. Israele, riconosciuto come “aggredito”, continua a partecipare. Una distinzione che regge sul piano giuridico, ma che lascia sospetti di doppi standard. Guerre come quelle in Yemen o in Nagorno-Karabakh non hanno mai prodotto sanzioni sportive. Il rischio, evidente, è che il diritto venga piegato agli equilibri di forza e non a principi universali.

UEFA E FIFA: SILENZI E TIMIDI PASSI – Per mesi le istituzioni calcistiche hanno taciuto. Solo ad agosto 2025 la UEFA ha esposto, in occasione della Supercoppa Europea, uno striscione che recitava «Basta uccidere civili, basta uccidere bambini». Un segnale minimo ma significativo, accompagnato dalle parole del presidente Ceferin: «Non possiamo fingere di vivere su un altro pianeta». Un messaggio che ha già scatenato dure reazioni negli stadi israeliani, confermando quanto sia sottile il confine tra critica politica e accuse di antisemitismo.

CHE FARE? Israele resta una democrazia, con un’opinione pubblica viva e manifestazioni di dissenso che in altri Paesi sarebbero represse. Per questo l’Italia può e deve giocare. Ma non in silenzio. Un gesto simbolico, come le magliette rosse di Panatta e Bertolucci in Cile nel ’76, darebbe voce a chi chiede pace e diritti. L’indifferenza, invece, significherebbe accettare che lo sport sia solo spettacolo, dimenticando la sua vocazione più alta: quella di partecipare, di prendere posizione.

Sezione: Altre news / Data: Gio 04 settembre 2025 alle 10:00
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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