Il lancio del Soccer, del calcio, negli Stati Uniti è ciclicamente d’attualità. C’è stata l’era dei Pelé, dei Beckenbauer, dei Chinaglia. Quello del post Mondiale ‘94, con l’impegno in prima persona di Henry Kissinger, influentissimo segretario di stato dell’era Nixon, bavarese americanizzato con la passione del calcio e delle relazioni internazionali. Poi c’è stata la costituzione della nuova MLS, che aggiunge oggi anche il nome di Leo Messi alla lista delle superstar.
Si dimentica però che al principio del Novecento, insieme al nascente e sempre più diffuso e amato baseball, anche il soccer era una passione popolare. Specie nella costa est. Avete presente i Los Angeles Dodgers, squadra di culto dell’MLB: ecco, nasce a Brooklyn (poi si sa, gli americani hanno inventato lo sport-business…) e nel suo sviluppo è stata legata a una squadra di calcio.Brooklyn, quel ponte che ha significato molto nella storia degli Stati Uniti, mito sognato anche dai tanti immigrati (tanti di questi nostri concittadini) che arrivavano a New York. All’ombra di quella ancora magica struttura sono nati due giocatori che nella storia del calcio stanno cercando di entrarci, in qualche modo. Sono loro pure figli dell’emigrazione.
La famiglia di Jonathan David fuggiva dalla martoriata Haiti, dai terremoti alla dittatura del feroce Baby Doc Duvalier. Una tappa intermedia, quella statunitense, visto che poi si sarebbero diretti, con Jonathan ancora bimbo verso nord, oltre la frontiera canadese.Il calcio è lo sport più praticato ad Haiti, l’unico vero stato caribeno dove il baseball ha poco significato, e Jonathan David in casa ha sempre sentito parlare di calcio. A Ottawa, capitale canadese, ha iniziato a giocarlo in diverse squadrette. Voglia tantissimo, e anche col talento non era messo male. Nel calcio che ha smesso di avere frontiere, il Canada, la terra dell’Hockey su ghiaccio per antonomasia, diventa anch’essa territorio di football. Così un agente propone David in Europa. E’ il Belgio, che sta sperimentando uno scouting worldwide ad accoglierlo. Dopo un breve periodo di apprendistato si fa spazio in prima squadra al Gent: in un calcio di continue transizioni la sua velocità, i suoi perpetui scatti vengono subito visti bene. E poi c’è l’etica del lavoro, che lo spinge a migliorare continuamente in altri aspetti del gioco. Troppo per il Belgio, eccolo quindi poco dopo la frontiera, nel Lille che dopo alcune stagioni interlocutorie sta provando a rilanciarsi. Trova la stagione perfetta: quel calcio di ripartenze è perfetto per David, che fa coppia davanti con Burak Ylmaz: il risultato è clamoroso per la squadra di Christophe Galtier: la vittoria del campionato. Sempre il trampolino perfetto per un ulteriore passo in avanti ma un po’ il club del nord della Francia spara una valutazione alta, un po’ David vuole consolidarsi, crescere, mettere dentro più calcio, vista la sua tarda scolarizzazione del gioco. Oggi è pronto, definitivamente per quel salto.
Come pronto è l’altro brooklynese della storia. “Flo” Balogun nasce l’anno dopo, nel 2001. Le sue origini sono africane, nigeriane. Quindi: calcio. Passione, cultura, tradizione: tutto richiama il prato verde. Buon per il ragazzo che la sua famiglia sceglie di trasferirsi in Inghilterra quando lui non ha ancora la contezza della cose. Solo si vede con un pallone tra i piedi da subito, e da subito le squadre del nord della città se lo contendono: vince la contesa l’Arsenal, così Flo può frequentare una della principali accademie del football britannico. Fa tutta la trafila e riesce anche a debuttare con la prima squadra. Ma lui pure sente di non essere ancora pronto per indossare con continuità quella maglia, inizia così un peregrinare alla ricerca di minuti, prima al Middlesbrough, poi in Francia, allo Stade Reims. Nella stagione appena terminata in Francia assomma un ventello di gol, a Londra lo richiamano. Ma Balogun, che nel frattempo ha scelto di giocare per gli USA, sente che la fiducia totale non c’è ancora, che la maglia da titolare è ancora in dubbio per lui, tra la conferma di Gabriel Jesus e la ricerca - si dice- di un altro tipo di 9. Da qui la volontà di guardarsi in giro, di ascoltare proposte anche dall’Italia.
Entrambi, qualche lemma di broccolino, potrebbe averlo comunque appreso. Sicuro, anche se non sotto quel magico ponte, hanno appresso a giocare e a segnare. L’Italia potrebbe essere davvero un reale destino per entrambi.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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