L’ultimo incontro è durato davvero poco. Giusto il tempo per riconoscere che le posizioni di partenza, o forse sarebbe meglio dire le visioni sul futuro, erano decisamente distanti. Paolo Maldini da ieri non è più il direttore dell’area tecnica del Milan, Paolo Maldini tornerà fuori dal Milan. Una condizione anti-naturale più ancora che anti-storica, anche perché l’ex difensore, forse il più grande nella storia del gioco, con la maglia rossonera addosso era nato e cresciuto, ma anche perché con la divisa del club era riuscito a creare, nel giro di pochi mesi, un punto di riferimento credibile per tifosi e appassionati. Maldini ha saputo aspettare il suo turno, ha atteso che al Milan si concludesse il regno di Adriano Galliani, perché l’unico posto previsto per uno come lui, per uno con quella Storia, era un posto di comando. Non si accontentava e non si accontenterà di fare la figurina, Paolo Maldini. Le ultime uscite da dirigente del Milan sono state quelle da condottiero, quelle di sempre, anche se non aveva più il 3 sulla schiena. Pochi minuti dopo l’eliminazione in Champions, con la lucidità di chi sa che chi rappresenta il Milan deve essere sempre all’altezza, ha riconosciuto l’inferiorità tecnica rispetto all’Inter e ribadito che con la conquista del quarto posto si doveva ritenere ampiamente soddisfacente la stagione, viste naturalmente le condizioni. Insomma, più di così era dura fare meglio: inteso come possibilità di investimento: nell’Inter sono a un certo punto entrati in campo Lukaku e Brozovic per cambiare la partita, mentre sulla panchina di Pioli c’erano la solita pletora di scommesse. Scommesse che Maldini ha vinto, ultima quella su Malik Thiaw, dopo le innumerevoli che vanno da Theo Hernandez a Kalulu, da Maignan a Brahim Diaz. Scommesse che gli hanno permesso di riportare lo scudetto, assolutamente non atteso, in rossonero. Ora, dopo aver mostrato che il Maldini dirigente non è una figurina, ma uno che, anche con la scelta di Ricky Massara, ha dimostrato di saper condurre una società, Paolo aspettava la mossa della proprietà. Insomma, un incremento del budget e maggiore fiducia e autonomia da parte del board.
Qui si è incrinato tutto. Anche perché questa proprietà la faccia non l’ha mai messa come Maldini, che al tifoso rossonero sa che deve sempre rispondere. Così deve essere letta la dichiarazione di cui si faceva testè menzione, dopo il match di coppa: al popolo del Milan, lo storico capitano deve parlare chiaro. Questo abbiamo, questo possiamo fare. Se il budget non si alza continueremo a modo nostro, ma ai tifosi va detta la verità.
Esattamente come adesso, i tifosi rossoneri pretendono di sapere come è andata e quali sono progetti e ambizioni, senza troppo fumo negli occhi e racconti che vanno dall’utilizzo dei big data (che peraltro oggi usano tutti) e mitologiche figure come quella di Billy Bean, che nel calcio, oggi, contano poco o nulla. L’idea della formula magica vale quando si passano le veline, poi conta il lavoro, vero. E lì saranno giudicati i proprietari del club rossonero, che però devono sapere che quando si gestisce una società di calcio non si può esclusivamente ragionare con i canoni di una azienda qualunque.
Resterà, almeno questo sembra passare, Stefano Pioli sulla panchina del Milan. I meriti del tecnico sono inequivocabili, nella passata stagione non solo ha vinto lo scudetto ma ha prodotto un calcio d’insieme moderno e godibile. In questa stagione le cose sono andate meno bene (il derby di campionato con l’Inter, nel ritorno, e in generale tutto quel periodo ha visto una squadra con troppa paura e pochissime certezze), ma la nave è stata bene o male portata in porto. Hanno avuto poco spazio i nuovi. Tolto Thiaw, non ha inciso Vranckx e soprattutto De Ketelaere, oltre a Origi ed è scomparso praticamente subito Adli. Tutto da buttare? A inizio campionato siamo stati poco persuasi dalla scelta dell’ex Liverpool ma sugli altri eravamo un po’ tutti, tra gli addetti ai lavori italiani e stranieri (parlo di quelli che le partite le vedono), bene impressionati dalle scelte. Certo, la rosa non era così lunga ma aveva elementi di qualità, in primis Charles De Ketelaere, ricercato dalla Premier (con offerte superiori ai 32 milioni sborsati dai rossoneri) dopo le ottime prestazioni al Bruges e che aveva scelto il Milan per il prestigio e probabilmente anche perché proprio Maldini era stato convincente. Non è andata, la stagione del belga è partita male ed è finita peggio. Questione di ambientamento anche fuori dal campo, probabilmente. Ma quando si investe su un giocatore la certezza che tutto vada sempre nella maniera auspicata non ce l’hai. Forse, come ripetevano Maldini e Massara, è solo una questione di tempo. Certo è che parliamo di un investimento di poco più di trenta milioni, non di cento… Investimento esattamente come quello su Rafael Leao, che molti osservatori avevano bocciato dopo pochi mesi ma che poi, col lavoro, è diventato l’idolo di San Siro. E su di lui, proprio Maldini e Massara avevano investito tempo per convincerlo a rimanere qui a Milano. La reazione social del portoghese alla dipartita dei due dice della perplessità di un progetto che improvvisamente si interrompe. Tocca a Cardinale e ai suoi farlo ripartire. Ma che sia una ripartenza all’altezza del Milan. Non basteranno numeri e formulette, c’è bisogno di giocatori e emozioni. Il pubblico di San Siro lo merita. E lo esige.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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