Daniele Fortunato, ex capitano nerazzurro, ha lasciato il segno ovunque sia passato. Non è mai stato un uomo da copertina, ma ha vissuto il calcio con passione, dedizione e sorprendente continuità, scrivendo pagine importanti con Atalanta e Torino. Due club, sette stagioni: in nerazzurro dal 1987 al 1989 e dal 1994 al 1997 (183 presenze e 19 gol), in granata dal 1992 al 1994. Dalla storica semifinale di Coppa delle Coppe con la Dea alla Coppa Italia sollevata col Toro, il centrocampista classe 1963 – oggi a Vicenza con la moglie Cinzia – ha attraversato un’epoca ricca di nomi leggendari, lasciando un’impronta fatta di professionalità, umiltà e spirito di sacrificio.
Daniele, Torino–Atalanta è una partita speciale per te. Che emozioni ti suscita oggi?
«Ho ricordi bellissimi sia dell’Atalanta che del Torino, ma più che momenti sono persone - confida, in esclusiva, ai microfoni di TuttoAtalanta.com -. Su tutte Emiliano Mondonico: sono stato cinque anni con lui all’Atalanta e due al Torino, poi gli ho fatto da secondo, da osservatore, siamo stati in vacanza insieme. Ho conosciuto la sua famiglia, le figlie, la moglie. Dico sempre che era più facile essergli amico che suo giocatore. È stato fondamentale per me, come uomo e come allenatore. Poi cito Fabio Gallo, che ora ho ritrovato a Vicenza, e per il Torino Luca Fusi».
Torino–Atalanta ti evoca anche i due gol da ex: avevi esultato?
«Sì, sempre. Non sopporto chi non lo fa. Esultavo in modo educato: ero felice e abbracciavo i compagni. Quando ero al Torino segnai all’Atalanta, ma nessuno me lo rinfacciò. Per me i pochi gol che ho fatto non erano mai contro qualcuno, ma per qualcuno: per la mia squadra. Trovo teatrale non esultare».
Un momento che ti è rimasto dentro più degli altri?
«Potrei dire la finale di Coppa Italia con la Fiorentina o la semifinale di Coppa delle Coppe col Malines, ma in realtà dico Atalanta–Salernitana, ultima di Serie B nel giugno 1995. Annata travagliata, tanta contestazione, io capitano con grandi responsabilità. Avevamo due punti di vantaggio: se vinceva la Salernitana andavano loro in A. Erano forti e veloci, noi più esperti ma macchinosi. L’importante era non andare sotto. Per fortuna passammo in vantaggio, Ferron fece parate decisive e meritammo. Finì 2-1 per noi. L’emozione lì è stata inspiegabile. Tutti a festeggiare in campo, io invece corsi negli spogliatoi da Mondonico e dai magazzinieri. Volevo stare con loro. Un momento speciale».
Hai detto spesso di avere “la Dea nel cuore”. Cosa rende l’Atalanta diversa dalle altre?
«Essere a Bergamo non è come in altre società. All’epoca eravamo una provinciale, e chiamare così oggi Atalanta o Bologna fa effetto. Allora se un giocatore faceva bene veniva venduto subito, non c’erano alternative. Noi lottavamo per salvarci in A o risalire dalla B. Io sono arrivato due volte in B e siamo saliti subito in A. In cinque anni: due promozioni, una Coppa Uefa, una finale di Coppa Italia e la semifinale di Coppa delle Coppe da squadra di Serie B. Tanti risultati per una provinciale. Oggi è diverso: l’Atalanta non si può più definire tale».
Dalla semifinale col Malines alla vittoria dell’Europa League: esiste un filo che unisce queste imprese?
«No, non sono paragonabili. Noi eravamo una squadra di Serie B, con giocatori da B, ed è unico nella storia che una squadra così arrivi in semifinale. Avessimo avuto un po’ di fortuna avremmo fatto la finale. Oggi è diverso: la Dea è in Champions, allora ci accedeva solo chi vinceva il campionato. Noi da neopromossi arrivammo sesti e giocammo la Uefa. Quello era un risultato enorme, considerando le avversarie: il Napoli di Maradona, il Milan di Sacchi, l’Inter di Trapattoni, la Fiorentina di Batistuta. L’80% dei più forti del mondo era in Italia. Vincemmo due volte a Torino con la Juve e a Milano col Milan di Sacchi. Sono stati cinque anni di grandi soddisfazioni, tra alti e bassi».
Che Atalanta vedi oggi, dopo l’era Gasperini?
«Se giudichiamo sempre Juric con il confronto a Gasperini, non ne uscirà mai. Chiunque dopo Gasp avrebbe avuto difficoltà, come all’Inter dopo Mourinho. Gasperini all’inizio rischiò l’esonero. Juric si trova senza Lookman e Retegui, che insieme hanno fatto 40 gol. Adesso Lookman rientra, ma non è la stessa cosa. La partita col PSG è stata imbarazzante: non ricordo la Dea così in balia. Non è bello sentir dire che “non hanno fatto tanto male”. Io lo difendo, ma va detto che ha un macigno enorme sulle spalle».
Qual è la dimensione dell’Atalanta oggi?
«La vedo meno competitiva. Può lottare per quarto–settimo posto, zona Coppe. Improbabile vederla seconda o terza. Ma ci sono almeno 12-13 squadre inferiori, quindi può stare lì. Certo, senza due giocatori da 40 gol come Lookman e Retegui è come togliere Lautaro e Thuram all’Inter».
Un giocatore che può prendersi la squadra sulle spalle?
«Il capitano, De Roon. Ha esperienza e mi sembra equilibrato. Nei momenti difficili sono le persone così che aiutano tutti, dando certezze».
Atalanta–Torino: che partita ti aspetti?
«Spero sia una bella gara. Il Toro, dopo la vittoria a Roma, vorrà confermare. L’Atalanta, propensa a giocare, cercherà riscatto dopo la Champions. Mi aspetto una partita aperta, anche se, se perdesse, Juric rischierebbe problemi e potrebbe optare per un approccio più chiuso. È un’incognita».
Daniele Fortunato è stato uomo di campo in ogni senso: giocatore, allenatore, osservatore ed esempio. Ha vissuto il calcio in tutte le sue sfaccettature, mantenendo coerenza e spirito genuino, senza inseguire riflettori ma guadagnandosi rispetto. Le sue parole raccontano valori, memoria e rispetto per maglie e persone: la sua eredità più grande.
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