Figura di riferimento nello sport bergamasco e non solo, Serse Pedretti è titolare della Onis Sportswear, azienda specializzata nell’abbigliamento tecnico personalizzato che ha superato 50.000 forniture collaborando con oltre 10.000 realtà tra società sportive, enti pubblici e aziende private. Bergamasco nell’anima e legatissimo al mondo Atalanta, Pedretti unisce passione e lavoro costruendo relazioni che vanno oltre il campo. Fondatore della Berghem Soccer Team, incarna il profilo del tifoso schietto, obiettivo ed esperto. È da questo sguardo che nasce la sua analisi sull’Atalanta di oggi: su Juric, sui giocatori, su un ambiente che resta unico nel suo genere.

Partiamo dal tuo giudizio sull’Atalanta vista finora.
«Intanto, io non analizzo le partite dal risultato ma per come sono state giocate - confida, in esclusiva ai microfoni di TuttoAtalanta.com -. A Udine è stato un disastro sotto mille aspetti e, a mio avviso, c’è stato anche qualche errore del tecnico: ad esempio la formazione non mi era piaciuta. Ma nelle due gare precedenti, con Lazio e Milan, meritavamo almeno quattro punti. Se avessimo portato a casa due vittorie, nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. E poi — so di andare controcorrente — penso da sempre che Juric sia la migliore scelta che potessimo fare. Non credo che le vittorie degli ultimi anni siano state solo merito di Gasperini: sono state il frutto di una combinazione di interventi. Per me il contributo di Gasp è stato il 40%, un altro 40% è della società, che l’ha protetto e ascoltato, anche grazie a direttori sportivi molto bravi — da Sartori a D’Amico — e il 20% è della tifoseria, intesa come città di Bergamo: qui il giocatore vive serenamente, senza pressioni tossiche, sia nelle vittorie sia nelle sconfitte. Tornando alla società, ha messo l’allenatore in condizione di esprimersi, e quando se n’è andato ha trovato in Juric il sostituto. Per tanti è un “fallito”, ma all’inizio anche Gasperini per molti non era l’allenatore giusto: alla sesta giornata mezza città lo voleva esonerare; sono gli stessi che ora piangono perché se n’è andato».

Cosa ti piace di Juric?
«Mi piace la persona: modo di presentarsi, carattere, personalità. Va in campo in tuta, non si dà arie. È uno di poche parole, ma secche, capace di farsi rispettare, come si è visto con la sostituzione di Lookman: gli ha fatto capire che comanda lui e che il giocatore deve accettarlo. E questo avrebbe dovuto fare Lookman».

Secondo te Lookman, in questo momento, non si sta comportando da giocatore dell’Atalanta?
«Non lo fa da tempo. Per me è irriconoscente. Si è dimenticato da dove è arrivato e come è arrivato: aveva qualità, sì, ma contano fortuna e contesto. Vale per tutti. Mettersi contro la società, non farsi trovare, andarsene, oltre ad aver svalutato un patrimonio dell’Atalanta, è un fatto grave. Ha dimostrato di non essere un professionista vero: se lo fosse stato, avrebbe accettato la situazione, continuando a lavorare e a dare il massimo, chiedendo magari la cessione a gennaio. Forse è stato mal consigliato, ma la sua è stata una bambinata. Per me è una persona immatura e con il Marsiglia l’ha confermato. Poteva non condividere il cambio, ma l’atteggiamento è stato sbagliato: doveva accettarlo e, se mai, chiedere spiegazioni nello spogliatoio, non in campo. Il mister deve concentrarsi sulla Champions: così distrai tutti e fai un doppio danno».

Sei d’accordo con Juric quando dice che finora l’Atalanta è stata criticata senza senso?
«Assolutamente sì. Cosa vuoi criticare? Chi oggi attacca la Dea è il tifoso da bar, che ha tutto il diritto di farlo: quando un attaccante sbaglia tre gol lo bolla come brocco, senza vedere oltre e capire che si è fatto trovare nel punto giusto. Poi magari l’ha colpita male o il portiere ha fatto il miracolo. Funziona così: oggi sei brocco, domani fenomeno e viceversa. Samardzic è l’eroe di Marsiglia e domenica era stato massacrato. Può succedere di sbagliare una partita. Per me l’unica gara brutta è stata Udine. Per il resto ho fiducia: in una partita abbiamo giocato senza 9 titolari, coi giovani Bernasconi e Ahanor, che abbiamo avuto la possibilità di scoprire. Serve pazienza. Il campionato è lungo. C’è la Coppa Italia e la Champions: con il Brugge ci siamo presi una vendetta, col PSG ci stava perdere, con lo Slavia Praga sfortunati. A Marsiglia ho visto un’Atalanta forte, grintosa, che ha smentito le voci di un gruppo contro l’allenatore».

Quindi, a Marsiglia, un’Atalanta convincente.
«Il Marsiglia ha avuto due grandi occasioni e la parata di Carnesecchi ha cambiato la partita. Fino al rigore sbagliato dominavamo ed eravamo bellissimi da vedere. Il rigore fallito ha caricato loro, ma per una volta la ruota è girata. Avrebbero potuto annullarci il gol o dare un rigore a loro e oggi parleremmo d’altro — magari criticando Juric per aver fatto calciare De Ketelaere. Io ho visto una bella Atalanta e sono fiducioso, come lo ero dopo Lazio e Milan. Non mi aspettavo il crollo di Udine: forse un calo di consapevolezza. Pensi di aver trovato la quadra, ma il calcio non perdona».

Sei atalantino da sempre?
«Da quando avevo sei anni: oggi ne ho 61. Mio padre è bresciano, tifoso del Brescia, ma io non ho mai avuto dubbi. Atalantino sfegatato da sempre. Ho frequentato la Curva per tanti anni: mi conoscono tutti così. Nel mio ufficio allo stadio del Losanna ho creato un angolo nerazzurro: libri, Playmobil di Dublino, euro-souvenir, sciarpe, gagliardetti, maglie. Ma tutti i miei uffici sono così».

E sei tu a portare spesso tifosi esteri allo stadio.
«Sì: tanti allenatori e dirigenti della Serie A svizzera mi chiedono i biglietti per l’Atalanta. C’è grande interesse in generale».

Una collaborazione che nasce anche a livello professionale.
«La sede produttiva della Onis Sportswear è a Cologno al Serio. Produciamo abbigliamento sportivo e facciamo anche i terzisti per altri marchi. In Svizzera distribuisco Macron e sono sponsor tecnico di quattro club di Super League su 12: Basilea, Lausanne-Sport, Sion e Thun. Rifornisco gli arbitri con le maglie, forniamo il pallone della Serie A svizzera (Macron) e curiamo il merchandising di altri 5 club su 12: sciarpe, bandiere, fasce da capitano, tazze. Lo Young Boys è un grande cliente: è anche venuto a vedere una partita a Bergamo. Negli ultimi 15 anni mi sono dedicato molto al mercato svizzero, ma da 3 anni siamo tornati prepotentemente anche nella bergamasca — e ne siamo felicissimi. Mi piace tenere i contatti personalmente con tutte le società sportive: non voglio dimenticare nessuno, che giochino in Champions o in Terza categoria. Non fa differenza: la rete professionale è diventata una rete di amicizie».

Negli anni hai stretto amicizie con tanti calciatori. Se dovessi schierare la tua “top 11”, quale sarebbe?
«Se dovessi giocare domani porterei 11 giocatori che mi fanno stare bene. In porta: Andrea Ivan, con Alex Calderoni pronto a subentrare (un tempo a testa, spettacolo garantito). Centrali: coppia argentina Leo Talamonti – Maximiliano Pellegrino. Esterni: Dario Rota (carriera in A in Svizzera, tifosissimo Atalanta, viene spesso allo stadio con me) e, dall’altra parte, il mitico Luigino Pasciullo. Centro: Fernando Tissone, Antonino Bernardini, Adriano Ferreira Pinto. Davanti: Claudio Caniggia (lo farei giocare tutta la vita), Cristiano Doni e, trovami un posto sia per Josip Ilicic sia per Papu Gomez: non posso rinunciare a uno dei due. In panchina, a guidare, metto Oliviero “Gas” Garlini e il professor Roberto De Bellis: avrebbero discusso tutta la partita e noi avremmo sorriso».

Con la stessa passione che lo accompagna da sempre, Serse Pedretti continua a intrecciare sport, lavoro e sentimento. Dalla Curva Nord all’ufficio di Cologno al Serio, passando per la Svizzera: nella sua visione, il calcio è prima di tutto legami, rispetto, riconoscenza. Valori che ritrova nell’Atalanta, nella sua gente e nella rete di amicizie costruita in anni di dedizione.

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© foto di gentile concessione intervistato
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Sezione: Primo Piano / Data: Ven 07 novembre 2025 alle 01:00
Autore: Claudia Esposito
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