Una carriera segnata da scelte coraggiose, ma anche da momenti di grande fragilità. Cristiano Piccini, ex difensore di Valencia e Atalanta, oggi dirigente sportivo, ha raccontato in una lunga intervista ad As uno dei periodi più difficili della sua vita, quello vissuto a Bergamo, nel pieno del recupero da un grave infortunio al ginocchio.
UN TRACOLLO DOPO L’INFORTUNIO – «Mi scoppiò la rotula», racconta senza giri di parole ad una lunga intervista al portale AS. «Avevo 26 anni e mi sono ritrovato fermo per quasi tre anni. Mi sono infortunato nel pieno della carriera e sono tornato a 29: in quel tempo è cambiato tutto». Il trauma fisico segnò la sua parabola, ma anche la sua tenuta emotiva: «Se non mi fossi fatto male, credo che avrei potuto dare ancora molto al Valencia e continuare a giocare ad alti livelli».
L’ARRIVO A BERGAMO – L’Atalanta lo accolse nel 2020, in pieno anno Covid. Piccini, reduce dal lungo stop, decise di accettare il prestito affascinato dall’idea di giocare la Champions League. Ma col senno di poi, definisce quella scelta «uno sbaglio»: «Non ero pronto a cambiare squadra, non stavo ancora bene fisicamente. Mi lasciarono un mese per recuperare del tutto e mi dissero che mi avrebbero messo nelle condizioni di tornare anche in Nazionale. In realtà, forzarono troppo i tempi del mio rientro».
Il difensore si presenta così: «Quando arrivai non riuscivo nemmeno a saltare con la gamba destra. Ero convinto che non avrei superato le visite mediche, invece mi presero. Tutto andò storto. Mi sono ritrovato a vivere giornate infinite tra palestra, terapie e fisioterapia, ma senza vedere progressi. Mi sentivo solo e non accudito».
LA DISCESA NELL’OSCURITÀ – A Bergamo, spiega, è arrivato vicino a toccare il fondo: «Lì ho sfiorato la depressione. Avevo bisogno di sentirmi protetto, invece provavo una sensazione di abbandono. Ero infelice, vivevo per riprendermi ma non miglioravo. Ogni volta che vedevo il ginocchio gonfio dopo gli allenamenti stavo malissimo. Restare così altri sei mesi, senza speranza, per me non aveva senso».
LA SCELTA DEL CUORE – Quando capì che non riusciva più a sopportare quella situazione, prese una decisione radicale: tornare al Valencia, anche senza stipendio. «Lì ho detto basta. Ho chiamato il club spagnolo e ho chiesto di tornare dal prestito. Mi risposero: “Cris, non possiamo pagarti”. Ma io dissi: non mi importa, voglio solo stare in un posto dove si prendano cura di me. E così ho lasciato sei mesi di stipendio all’Atalanta».
Una frase racchiude tutto: «Ho detto “fan***o i soldi”, perché la tranquillità vale molto di più. Avevo bisogno di ritrovare serenità e di stare in un ambiente dove mi sentissi compreso».
UN UOMO NUOVO – Oggi, a 33 anni, Piccini ha appeso gli scarpini al chiodo e lavora come global football advisor con l’Estrella Football Group. Guarda al passato senza rancore ma con consapevolezza: «Ho capito che nella vita e nel calcio non esistono solo i contratti o le opportunità. Esiste anche il bisogno di sentirsi bene. Quello che ho perso economicamente, l’ho riguadagnato in equilibrio e lucidità».
La storia di Piccini non è solo una confessione di dolore, ma un messaggio forte: la salute mentale nel calcio non può essere un tabù. E a volte, per tornare a respirare, serve solo il coraggio di dire basta.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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