Parlare con Giorgio Magnocavallo è come entrare in uno spogliatoio di quarant’anni fa e trovarlo ancora lì, con il sorriso largo e la battuta pronta. Ti travolge con la sua energia, racconta aneddoti come se fossero successi ieri e quando nomina l’Atalanta s’illumina ancora. Difensore solido e capitano vero, non ha mai perso il gusto di ridere e di raccontarsi. TuttoAtalanta.com lo ha intervistato in esclusiva alla vigilia di Atalanta–Lazio, da doppio ex: prima all’Atalanta per quattro stagioni (1981-1985, 135 presenze e 8 gol) con la doppia promozione dalla C1 alla Serie A; poi alla Lazio per due annate (1985-1987, 61 presenze e 3 gol) nel periodo più difficile della storia biancoceleste. Due maglie pesanti, tra promozioni, salvezze, errori e scelte vissute fino in fondo.
Giorgio, domenica si gioca Atalanta–Lazio. Si sente ancora parte di entrambe le famiglie calcistiche?
«A livello affettivo sicuramente. È sempre una partita particolare quando si affrontano due squadre in cui si è giocato. Chiaro che, essendo bergamasco, di Treviglio, parteggio maggiormente per l’Atalanta. Quando sono andato via per Roma, pensavo che avrei giocato in una squadra di alto livello, come la Lazio a cui siamo abituati. Invece non sono stato fortunato: non era il momento giusto. Siamo partiti con 9 punti di penalizzazione e abbiamo lottato duramente per salvarci e non retrocedere in Serie C».
Pensava fosse l’occasione della vita, ma non è stato così?
«Sì. L’Atalanta, ai miei tempi, lottava per la salvezza e quando riuscivi a raggiungerla era quasi come vincere l’Europa League oggi. Alla Lazio c’erano prospettive più alte di carriera e invece fu una continua lotta per sopravvivere».
Umanamente cosa le ha lasciato quell’esperienza?
«Ci siamo salvati grazie al gruppo, perché con i due punti a vittoria e partendo da -9 era davvero difficile. La forza è stata il gruppo. Abbiamo fatto gli spareggi a Napoli e i tifosi ci ricordano ancora oggi: quando gioca la Lazio espongono gli striscioni che ricordano quell’impresa».
La sua Atalanta, invece, è stata quella della doppia promozione dalla C1 alla A.
«Avevo già avuto Ottavio Bianchi come allenatore alla Triestina. Il capitano era Vavassori, che abitava ad Arcene; io ero a Ciserano. Il mister mi diceva di venire a Bergamo, Vavassori pure. Sarei stato vicino a casa, anche perché ci allenavamo a Zingonia. Così rifiutai la Serie A con l’Avellino per la C1 con l’Atalanta. In quattro anni due promozioni e la salvezza: i più anziani se lo ricordano bene».
Il suo gol decisivo in Serie A, alla Cremonese (14 ottobre 1984), regalò la prima vittoria stagionale all’Atalanta dopo una serie di pareggi e sconfitte.
«Su calcio d’angolo ci fu una ribattuta verso la linea laterale. Io stoppai, calciai in porta e feci gol. C’era tutta la difesa della Cremonese schierata. Ci eravamo portati tutti in avanti per l’angolo e, tra tutte quelle gambe, fui fortunato a colpire io il pallone e segnare».
Il ricordo più bello?
«Non ce n’è uno solo. Sono stati tutti belli e sceglierne uno è impossibile. Posso raccontare però una cosa che mi ha fatto molto piacere. Quando andai a parlare con Achille Bortolotti, lui voleva a tutti i costi che restassi qui. Mi disse che mi avrebbe seguito con attenzione, che ero il suo figlioccio. Io invece andai alla Lazio per motivi economici: c’era troppa disparità d’ingaggio tra le offerte, anche se Bortolotti mi aveva garantito che poi sarei rimasto nella società, finché ci fosse stato lui. Anche Sonetti voleva che restassi. Io, però, avevo altre ambizioni e mi lasciai prendere dal discorso economico, dalla capitale: scelsi diversamente. Andò male. Nella mia carriera ho giocato in dodici squadre e non ho mai trovato un presidente che mi ripetesse parole come le sue».
Quindi, col senno di poi, pensa di aver sbagliato?
«Assolutamente sì. Come avevo indovinato a non andare ad Avellino in A per venire all’Atalanta in C, così sbagliai ad andarmene».
I tifosi atalantini la ricordano per il buon umore: al di là di quanto ha dato in campo, le vogliono bene anche per il carattere.
«Il fatto che si ricordino ancora di me dopo quarant’anni mi fa enormemente piacere. Significa che qualcosa di buono l’abbiamo fatto. Il gruppo di quei quattro anni era eccezionale. In rosa siamo rimasti in gran parte sempre gli stessi e ci sentiamo ancora: andiamo a mangiare insieme. Siamo un buon gruppo come lo eravamo allora».
Chi siete?
«Le reunion le organizza Carlo Osti. Siamo in sette: ci sono anche Glenn Strömberg, Carmine Gentile, Giampaolo Rossi, Roberto Soldà e Cesare Prandelli. Due mesi fa ci ha invitato a Piacenza e siamo stati suoi ospiti».
E di cosa parlate quando vi ritrovate?
«Di calcio, delle partite che vediamo e, soprattutto, di quanti errori difensivi vengono commessi oggi, errori che noi non facevamo».
Eravate più bravi dei difensori di oggi?
«No, il calcio è cambiato. Non è nemmeno possibile paragonare un difensore dei miei tempi a uno di oggi. Noi difendevamo a uomo: ognuno aveva il suo giocatore. Io, con il numero 3, marcavo il 7; chi aveva il 2 curava l’11; chi aveva il 5 marcava il 9. Se quel giocatore segnava, la colpa era di chi lo marcava. Oggi si gioca a zona: alla fine non sai nemmeno a chi dare la colpa, ma intanto prendi gol».
Quindi Magnocavallo non era più bravo di Bellanova o Zappacosta?
«No, anzi: oggi i giocatori sono più bravi. Nel calcio lo spazio e il tempo sono tutto: ai miei tempi ne avevamo di più. Oggi non c’è più né spazio né tempo: devi essere velocissimo. Il pallone è più leggero, i passaggi più forti e violenti; senza una tecnica di base eccellente oggi fai fatica a giocare».
C’è più orgoglio per la salvezza con la Lazio o per la doppia promozione con l’Atalanta?
«Entrambe. Quando ci salvammo nello spareggio di Napoli, a Roma la gente piangeva; lo stesso ho visto per la doppia promozione con l’Atalanta. Sono emozioni che lasciano il segno e che è difficile dimenticare».
La prossima giornata Atalanta e Lazio si affrontano di nuovo.
«Nelle stagioni passate è sempre stata una partita aperta a tre risultati. È una gara importante. In questo momento, però, vedo favorita l’Atalanta, perché la Lazio non sta andando benissimo. Inoltre noto che, dopo le ultime partite, anche tanti scettici stanno cambiando idea sulla squadra di Juric».
Anche lei?
«Io no: sono sempre stato per dare tempo ai nuovi allenatori. Lo dissi anche per Gasperini – che all’inizio fece peggio di Juric – e lo dico oggi. Se parliamo di gioco, dobbiamo essere obiettivi: nessuno potrà fare meglio di Gasperini. Ma se guardiamo i risultati, non c’è nulla da dire: l’Atalanta è a tre punti dalla prima dopo sette partite ed è ancora imbattuta. Non contestare dovrebbe essere la normalità».
A proposito di difesa nerazzurra: cosa pensa di Ahanor?
«È molto bravo e mi spiace dirlo, ma potrebbe anche togliere il posto a Scalvini, anche lui giovane e forte. Fa effetto: un conto è scalzare un trentacinquenne, un altro è prendere il posto a un talento come Scalvini. Io, però, ad Ahanor la maglia da titolare la darei senza dubbio. E c’è anche Kolasinac: non è facile lasciarlo fuori».
L’Atalanta può arrivare ancora in Europa?
«Diamole tempo. Abbiamo perso un attaccante da 30 gol e non è poco. Diamo al tecnico la possibilità di mostrare anche il bel gioco: con quello, i risultati potrebbero essere ancora migliori».
Ha detto che avete perso un attaccante da 30 gol: chi è arrivato può sostituirlo?
«Non è che i sostituti non siano all’altezza, è che Retegui aveva fatto troppo bene. Krstovic l’ho visto a Lecce: per me è un buon centravanti. Ma Retegui, appena gli arrivava la palla, segnava. Krstovic ha sbagliato un paio di gol facili ed è stato criticato, ma succede: chi ha giocato sa che non si sbaglia apposta».
Le prossime due: prima la Lazio, poi lo Slavia Praga. Cosa si aspetta?
«Per me si può fare pieno in entrambe. La Lazio ha buoni giocatori ma non ha ancora ingranato: in casa vedo favorita l’Atalanta. In Champions è sempre difficile, spesso decidono gli episodi: col Brugge la prima palla-gol l’hanno avuta loro, se segnano cambia tutto; invece poi abbiamo vinto noi. La Champions è così: complicata ma alla nostra portata. L’Atalanta è ancora una buona squadra. L’anno scorso, per un attimo, abbiamo anche sognato lo scudetto: poi si è fatto male il centravanti ed è rimasto il rammarico. Quest’anno ho visto in campo per lo più nove undicesimi della scorsa stagione: sono arrivati Zalewski, Krstovic, Ahanor, ottimi giocatori. Diamogli ancora un po’ di tempo: per me l’Atalanta nelle prime sei ci arriva. Magari non terza, non perché si sia indebolita, ma perché Milan e Juventus si sono rinforzate: la concorrenza è più dura».
Con Magnocavallo non serve fare troppe domande: parte da solo, ricorda, ride, si emoziona. Nelle sue parole non c’è nostalgia ma riconoscenza: per gli anni belli a Bergamo, per la fatica di Roma, per gli amici che ancora si ritrovano a cena. Chi lo conosce lo descrive così: una risata contagiosa e un cuore grande quanto un campo di gioco.
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