L'Italia è il paese in cui Mateo Retegui può ottenere il passaporto italiano senza mai aver visto prima l'Italia perché il nonno è nato a Canicattì, mentre un ragazzo nato in Italia da genitori immigrati deve aspettare i 18 anni prima di avviare l'iter burocratico per ottenere un passaporto che quasi certamente arriverà dopo diversi anni. E' il paese nel quale un minore nato in Italia da genitori immigrati con lo Ius Soli sportivo può essere tesserato per le Federazioni Sportive a partire dai 10 anni, ma non può essere convocato per le selezioni nazionali fino a quando non otterrà una Cittadinanza che può richiedere solo da maggiorenne.
All'indomani dell'impresa olimpica di Marcell Jacobs, il presidente del CONI Giovanni Malagò provò a scuotere la Politica su questo tema: "Sono anni che c'è una formidabile polemica sullo ius soli. Come CONI hanno provato a tirarci per la giacchetta e noi abbiamo sempre sostenuto la tesi che si tratta di una materia politica, ma non riconoscere lo ius sportivo è aberrante e folle. Questo discorso oggi più che mai va concretizzato, a 18 anni e un minuto chi ha i requisiti deve avere la cittadinanza italiana e non iniziare una via crucis con rimbalzi tra prefetture e ministeri". E' una dichiarazione del 2 agosto 2021: quasi due anni fa. Cambiano i Governi, ma da allora nulla è cambiato.
E' giusto trattare la Nazionale come un qualsiasi club?
Mateo Retegui è il 50esimo oriundo della storia della Nazionale. Non è quindi il primo, non sarà l'ultimo. Però lui a differenza di chi l'ha preceduto fino a 10 giorni fa dell'Italia ne aveva solo sentito parlare tramite qualche racconto di famiglia. Se per Jorginho, ad esempio, la chiamata della Nazionale arriva dieci anni dopo il suo sbarco nel nostro paese, dopo un percorso che l'ha visto nascere e crescere calcisticamente in Italia, per Retegui il discorso è diverso. S'è ritrovato catapultato in una realtà nuova da un giorno all'altro come fosse un nuovo acquisto.
Però la Nazionale non è un club, l'Italia è un'altra storia. O almeno così dovrebbe essere. Sono storie di ragazzi che ce l'hanno fatta, narrazioni tanto diverse tra loro quanto accomunate da un percorso che non può non considerare l'Italia come parte centrale del racconto. E invece l'Italia fino a 10 giorni fa non ha mai fatto parte della vita di Retegui. E' sembrata in piena regola una operazione da campagna acquisti: con dettagli differenti, evidentemente, ma anche con le stesse dinamiche. E quasi certamente non sarà l'ultima.
Non è una storia italiana: quello tra Retegui e l'Italia è solo un matrimonio di convenienza
Tutti conosciamo il motivo che ha spinto il ct Roberto Mancini a convocare Mateo Retegui: l'assenza di un bomber acuita a questo giro dagli infortuni capitati a Immobile e Raspadori. Un po' meno note, forse, le motivazioni che hanno spinto il ragazzo a rispondere subito sì, senza grossi tentennamenti. Classe '99, Retegui non è fin qui mai stato preso in considerazione dall'Argentina e a 24 anni sa che difficilmente sarebbe potuto cambiare questo status quo. Julian Alvarez, centravanti campione del Mondo, è di nove mesi più giovane e Lautaro Martinez è un'altro di quei giocatori che difficilmente perderà il posto nei prossimi anni. Poi c'è Dybala, c'è Correa, ci sono ancora Messi e Di Maria. E ci sono giovanissimi come Valentin Carboni su cui Scaloni ha detto che vorrà puntarci. In Italia lo scenario è profondamente diverso e con la maglia azzurra avrà senza dubbio più possibilità di giocare.
C'è poi il calciomercato. Il tam-tam mediatico che ha scatenato la sua convocazione è la scossa che serviva per favorire in maniera decisiva il suo trasferimento in Europa la prossima estate. "Da quando s'è saputo della convocazione, per Mateo sono arrivate cinque offerte diverse, quattro dall'Europa. E' probabile che andrà via", ha detto qualche giorno fa Sergio Massa, Ministro dell'Economia argentino molto vicino alla dirigenza del Tigre. I due gol in due partite hanno fatto il resto: in una settimana il suo prezzo è praticamente raddoppiato e oggi tutti lo conoscono. Tutti sono pronti a puntare su di lui. Senza il sì a Mancini, segnando solo col Tigre, tutto questo non sarebbe successo.
La multietnicità della Svizzera è un'altra storia
Mateo Retegui ha quindi sfruttato nel migliore dei modi una grossa occasione. Bravo, scaltro, determinato. Ha fatto bene i suoi calcoli e forse ha anche risolto uno dei problemi atavici della Nazionale di Mancini, quello del centravanti. Merita solo applausi, evidentemente, però qui il discorso è un altro. Dopo la gara contro Malta Mancini ha detto che così fan tutti: "Guardate la Svizzera, ne ha una quindicina di oriundi..." Non è proprio così. Vale per la Svizzera come per altri paesi che il ct ha citato, tipo il Belgio. E qui torniamo al punto di partenza.
Noah Okafor è nato a Binningen, nei pressi di Basilea, da padre nigeriano e madre svizzera. Zeki Amdouni è nato a Ginevra, padre turco e madre tunisina. Breel Embolo è nato in Camerun e a sei anni è emigrato in Svizzera con la madre e col fratello, stabilendosi a Basilea. Denis Zakaria è nato a Ginevra, da padre sudsudanese e madre congolese. La lista è lunga, ma il concetto è già chiaro: sono calciatori nati in Svizzera o che la Svizzera l'hanno raggiunta in tenera età a cui la Svizzera ha permesso un percorso verso la Cittadinanza molto più lineare. E le loro sono storie che a tutti gli effetti raccontano il momento e la cultura del paese elvetico. Sono storie svizzere. Così come quelle di Gnonto e Udogie sono storie italiane: il problema è che noi rispetto agli altri paesi europei di queste narrazioni - a causa delle nostre leggi, della nostra burocrazia, del nostro stato sociale e non solo - ne abbiamo molte, molte meno. E poi c'è quella di Mateo Retegui, che è tutta un'altra storia.
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