Crescere con un pallone nerazzurro nel cassetto dei sogni, accarezzarli non senza qualche degna comparsata ai piani alti, e infine reinventarsi una carriera sulla tolda di comando come nostromo di un ammiraglio che con gli stessi colori aveva raccolto fischi e fiaschi. Stranissimo davvero, il destino di Diego Bortoluzzi, l'ex di cui ci tocca celebrare il genetliaco all'ennesimo appuntamento con la nostra rubrica. Che oggi vede stagliarsi all'orizzonte di torta e candeline lui, il quarantacinquenne dal fisicone e dal sorriso disincantato cresciuto a Zingonia e ora abile e arruolato come "secondo" di un certo Francesco Guidolin all'Udinese. Uno che, una volta appese le fatidiche scarpe al chiodo con 12 presenze all'attivo in serie A, tutte con la maglia dell'Atalanta, ha deciso di seguire le orme di uno dei suoi condottieri a metà meno fortunati: chi non si ricorda la disastrosa esperienza sotto la Maresana di un mago di Castelfranco Veneto ancora acerbo nella prima parte della stagione 1993/94, con l'annus horribilis culminato con un'amara retrocessione in cadetterìa nonostante la ciambella di salvataggio lanciata alla ciurma dal duo Valdinoci-Prandelli? Ebbene, al di là di similitudini e percorsi sotto lo stesso cielo del suo attuale paròn, i legami del ragazzone veneto con la Bergamo che ama e pratica assiduamente il gioco del calcio datano molto più indietro nel tempo.
Nato a Vittorio Veneto, in provincia di Treviso, il 23 settembre 1966, Bortoluzzi - 184 centimetri di statura per ben più di 80 chili di peso - era il classico armadione semovente prestato alla zona nevralgica del campo. Sfornato dal vivaio di Zingonia, il baldo medianone - che in realtà sapeva anche spingere e avvicinarsi alla porta avversaria - conosce la primissima ribalta grazie a Nedo Sonetti, alfiere di una Dea appena risalita al piano di sopra dopo anni di stenti in B e addirittura in C. Il battesimo del fuoco avviene il 17 marzo 1985, alla settima di ritorno, nel catino semipieno del San Paolo di Napoli: il nostro entra a tre minuti dalla fine in sostituzione di Eugenio Perico, senza riuscire a ribaltare lo score, fissato sull'1-0 per i Ciuchi di Maradona grazie al gol di Bertoni. Tre presenze in quel campionato, sette in quello successivo, una sola nel 1986/87 della caduta in B. Un giro di corsa in prestito al Piacenza, e nell'anno del ritorno in A della banda ora allenata da Emiliano Mondonico per il trevigiano c'è la chicca dell'ultimissima apparizione ai livelli che contano: curiosamente, il cerchio si chiude ancora contro il Napoli, stesso campo e risultato identico: è il 9 ottobre 1988, il killer stavolta è Giacchetta allo scadere. E poi? Un lungo barcamenarsi tra B e C: Vicenza, Brescia, Pro Sesto, Venezia, Avellino, Siena e Treviso, per chiudere nel 2003 a casa con il Conegliano. Quindi l'avventura su una panchina: vice di Guidolin al Palermo nel 2004 (promosso in A), toccata e fuga da "capo" al Treviso sempre nella massima serie nel 2006, e il ricongiungimento col suo mentore, ancora all'ombra del Monte Pellegrino (due stagioni), al Parma (idem) e dal 2010 alla corte della famiglia Pozzo. Tanti auguri.
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