“Vedi l’emozione e la gioia dei ragazzi mentre giocano a calcio?”
Sono andato a trovare Juanma Lillo, ex assistente di Guardiola e punto di riferimento di Pep e di tanti appassionati di calcio, mentre ero in Qatar. Parlavamo degli enormi investimenti nel calcio di diversi Paesi del Golfo, che negli ultimi lustri hanno messo soldi per costruire infrastrutture di alto livello, accompagnati da studi e ricerche per avvicinarsi agli standard di attenzione calciofila dell’Europa e del Sudamerica. Il fatto è, si rifletteva, che non tutto è comprabile, misurabile, programmabile. Non c’è un rapporto di causa-effetto soprattutto se manca il primigenio spirito della magia del futbol: la passione. E la passione nasce nelle sfide calcistiche vissute da bambini. Senza quella spinta il calcio perde di significato, tutto il resto viene dopo. Così Juanma partiva dall’interrogativo chiave: osservare la gioia e l’emozione dei ragazzi mentre rincorrono un pallone.
Lillo, che ha allenato praticamente ovunque nel Mondo, è nativo dei Paesi Baschi, anche se molti lo scambiano per un sudamericano, proprio per il suo amore intenso per il futbol, a partire dalla venerazione per Diego Maradona. E’ nato a Tolosa, nella provincia Gipuzkoa, vicino a Donostia, il nome basco di San Sebastian. E lì la gioia dei ragazzi che giocano a calcio si vede tutta. Unita al desiderio di vestire, un giorno, la maglia txuri-urdin, bianco-blu, della Real Sociedad. Molti anni fa era il sogno dei giovani ragazzini Mikel e Xabi, che si trovavano spesso a contendere una palla sulla spiaggia di Ondarreta. Un sogno che stava piano piano iniziando a diventare realtà, quando dalla spiaggia i due, presto noti come Mikel Arteta e Xabi Alonso, si erano spostati sui campi dell’Antiguoko Donostiarra, un settore giovanile/scuola calcio prestigiosissima della zona basca, molto legata alla Real anche se da un paio d’anni si è sposata con l’altra grande realtà basca, l’Athletic Bilbao.
Mikel e Xabi incrociano i tacchetti anche ad alto livello, col secondo protagonista di una carriera memorabile tra Liverpool, Real Madrid e Bayern Monaco. Arteta è invece prestissimo cooptato dalla cantera più celebre del mondo, La Masia, e si trasferisce in Catalogna. Si fa tutta la trafila del Barcellona ma non va oltre la squadra B, e allora sceglie, ancora ventenne, di andare al Paris non ancora qatariota e poi vola oltre Manica, Rangers Glasgow, Everton e Arsenal. Una buonissima carriera con l’unico grande cruccio di non aver mai vestito la maglia della Nazionale, abitata in quel tempo, specie a centrocampo, da fenomeni entrati già nella Storia del gioco.
Arsène Wenger, che lo volle all’Arsenal, è il primo a proporgli un ruolo da tecnico nell’Academy del club. All’annuncio dell’addio si fa vivo pure il suo ex compagno di squadra al PSG Mauricio Pochettino, all’epoca tecnico del Tottenham, che da giocatore-già-allenatore aveva notato le affinità col basco. Arteta però sceglie la terza opzione: Guardiola. Pep è il suo idolo, fin da quando indossava il blaugrana e poi, soprattutto,
lo considera il tecnico più grande (quindi almeno una cosa in comune l’abbiamo, con Mikel!). Il dialogo quotidiano con Guardiola non può che arricchirlo (“Con lui è una sfida quotidiana. È molto esigente con se stesso, e noi che lo circondiamo dobbiamo sempre cercare miglioramenti, evoluzioni. La sfida è come essere migliori del giorno prima, della partita precedente”, dirà il tecnico basco) ma la base già c’è. Una base straordinaria, che proprio certifica Pep: “Non ho dubbi sulla sua qualità e sulla sua capacità di portare l'Arsenal dove merita di stare.”
Il documentario “All or Nothing” mostra Arteta come un manager perfetto dei nostri anni, con la punta di creatività necessaria, e un fascino guardioliano davvero innato (per qualcuno la gestualità è la stessa), e forse nemmeno tanto spiegabile, raccontabile a parole: è più una percezione di qualcosa di grande, lo dice Xhaka, nel lavoro della tv di Amazon, e lo svizzero indomabile, almeno fin lì, diventa presto il più fedele degli scudieri: “ha qualcosa di particolare, di unico… e mi piace quell’unicità”.
L’Arsenal è quindi la sua prima destinazione, da secondo di Pep alla panchina forse storicamente più prestigiosa d’Inghilterra, quella di uno dei padri del gioco, Herbert Chapman, soprattutto quella del suo ex tecnico Wenger, l’uomo che probabilmente è l’allenatore che ha aperto le porte alla nuova éra del calcio britannico, quello della Premier che inizia a pensare diversamente, ed è per questo che diventa matura. La scelta giusta, il posto giusto. E il momento? Per qualcuno non è quello corretto. L’ultima parte delle gestione Wenger (in totale, più di 1200 partite sulla panchina dei Gunners) e la parentesi, piena di alti e bassi, di Unai Emery ha lasciato alcuni punti interrogativi e diversi puntini di sospensione: non sarà - si chiede la comunità di tifosi più numerosa e popolare della capitale inglese - che faremo la fine dello United, che dopo un lungo regno - là c’è stato Ferguson - non troveremo la chiave per tornare grandi?
Le perplessità crescono con i risultati che non arrivano. La competività della Premier è clamorosa, e il Man City che ha lasciato Arteta continua a essere la squadra dominante. Non che la proposta non ci sia, però sembra sempre mancare qualcosa per raggiungere il risultato pieno. La frizione forte con uno dei giocatori chiave del club, Aubameyang, sembra far nascere nuovi dubbi, e invece è l’inizio di un tragitto nuovo, al limite della perfezione. Arteta intanto ogni stagione aggiunge situazioni di gioco e convinzioni nei suoi. Nell’ultima estate, dopo aver visto all’opera in Champions lo Shakhtar di De Zerbi, chiama il tecnico bresciano e gli chiede come allena alcune situazioni di possesso, su come muove i terzini dentro al campo. Rimane attento, vigile, curioso, studioso e, soprattutto, convinto. Arteta non perde fiducia nonostante parte della piazza di anima contro di lui. Questa convinzione persuade la famiglia Kroenke, la proprietà americana dell’Arsenal, finita anch’essa nel mirino.
Oggi l’Arsenal è probabilmente la squadra più bella da vedere in Europa, ed è leader della Premier League, contro ogni pronostico, davanti al City del mentore Guardiola, che affronterà anche nel prossimo week end nella FA Cup, l’ennesima sfida che merita di essere ammirata. Arteta sopravvive con la sua visione, i suoi occhi sono ancora pieni di passione. Convince, prima ancora di vincere. Le risposte alle tante critiche, alle ironie (ricordate le battutine, anche da noi sulla scelta dell’arsenal di andare su uno sconosciuto come Arteta?) sono tutte sul campo di gioco. “Sembra di rivivere l’anno degli invincibili” si è azzardato a dire un tifoso. “La rivendicazione della nobiltà è antica tra i baschi, e deriva dall'isolamento in cui hanno vissuto”, ha scritto una volta il maggior intellettuale basco del Novecento, Miguel de Unamuno. Sicuramente Arteta lo ha letto. Mikel è rimasto lo stesso di tanti anni fa, quello della spiaggia di Ondarreta, e guarda sempre lontano. Mantenendo vivo dentro di sé il segreto del gioco, quella gioia che è oggi, anche, di noi appassionati.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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