In un mondo che corre veloce, dove spesso l’apparenza prevale sulla sostanza, incontrare una ragazza come Federica Sorrentino è una boccata d’aria fresca. A soli 27 anni ha già collezionato traguardi importanti: laurea in Psicologia, doppia iscrizione agli albi professionali di psicologi e giornalisti, una borsa di ricerca all’Università di Parma e un ruolo da giornalista nella testata online Zonamistamagazine.com. Bella, brava e – soprattutto – autentica. A colpire per primo è proprio la sua semplicità rara, che non teme di mostrarsi per ciò che è. Federica è vera, diretta, appassionata e a TuttoAtalanta.com racconta il suo percorso con lo stesso entusiasmo con cui vive il lavoro, la famiglia, lo sport e la sua Bergamo. Nessun filtro, nessuna posa: solo la forza pulita della verità.
Ciao Federica. La tua passione per il giornalismo da dove nasce?
«Sicuramente c’è tanto di papà (Eugenio Sorrentino, ndr), che per me – e non solo per me – è un giornalista bravissimo. Sono cresciuta vedendolo raccontare i fatti e intervistare persone. Mi è sempre piaciuto: ti dà la possibilità di entrare nella vita degli altri ed è emozionante. Tanti temi, tante sfaccettature: davvero stimolante. Quando si è presentata l’opportunità, l’ho colta al volo: all’inizio un po’ per gioco, poi è diventata una professione di cui sono felicissima. Vale anche per il giornalismo sportivo: sono cresciuta respirando calcio in famiglia, papà è super appassionato e mi ha permesso di vivere questo mondo al suo fianco. È stato naturale trasformare quell’entusiasmo in un percorso professionale. E sono felice di condividerlo con lui: quando i rapporti sono familiari bisogna saper distinguere il lavoro dal rapporto padre-figlia, ma per me è bellissimo poter vivere momenti insieme, con entrambi i miei genitori».
Avevi iniziato con i concorsi di bellezza. Quello è un capitolo definitivamente chiuso?
«Da più piccola ho partecipato a diversi concorsi: Miss del Garda, poi sfilate per un negozio di Brescia e infine Miss Italia. Quello è stato l’ultimo concorso, ma ho avuto anche la bellissima occasione di sfilare sul red carpet al Festival di Venezia. Non mi pongo paletti e valuto le opportunità che arrivano. Quella parentesi è stata fondamentale: ero molto chiusa, parlavo poco, e quelle esperienze mi hanno aiutata a uscire dal guscio. Salire sul palco, presentarmi a una platea, raccontarmi… Mi è servito tanto anche nel lavoro: poi ho presentato eventi. Esperienze formative che mi hanno fatto crescere e acquisire competenze utilissime, anche sul piano personale».
Eppure papà non ti ha mai favorita: ti ha “imposto” la gavetta.
«Fin da subito mi ha detto che, se avessi voluto fare la giornalista sportiva, avrei dovuto conoscere tutto ciò che sta dietro il calcio. Ho iniziato come hostess allo stadio e lì vivi davvero il dietro le quinte: hospitality, tifosi, partite dal vivo. Stavo anche a bordo campo, quindi mi godevo le gare da vicino».
Ora ti piacerebbe lavorare per qualche emittente nazionale?
«Il giornalismo è una crescita continua. Non mi precludo nulla. Lavorare per un’emittente nazionale sarebbe stimolante e valuterò ogni opportunità. Sono tappe di un cammino: per ora mi godo il presente con serietà, cercando di fare sempre bene».
Un sogno nel cassetto?
«Dare il meglio e rimanere sempre me stessa. Tornare a casa ogni sera fiera di ciò che ho fatto. Impegnarmi e dare il massimo, sempre».
Sei tifosa atalantina? Come concili il tifo con il lavoro?
«A Bergamo è impossibile non esserlo: Bergamo è l’Atalanta e l’Atalanta è Bergamo. La fede nerazzurra pervade la città. Prima seguivo da casa, poi sono andata allo stadio e mi è piaciuto. La mia prima partita fu un’Atalanta-Roma di diversi anni fa. Oggi, quando lavoro, prevale l’occhio giornalistico: prima di tutto devo essere la Federica giornalista e raccontare i fatti per ciò che sono».
La partita che ti ha emozionata di più?
«La prima con il pubblico dopo il Covid. Ho pianto tantissimo e mi commuovo ancora oggi. Ricordo tutto: “Rinascerò, rinascerai” di Roby Facchinetti mentre entravano i giocatori, la Curva Nord accanto alla mia postazione, lo stadio pieno, gli abbracci ritrovati dopo ciò che avevamo vissuto – soprattutto a Bergamo. Ho acceso il computer e annotato ogni emozione, ogni sguardo, anche quelli di chi non c’era più, e le parole di ogni striscione. Non era più solo sport».
Seguendo l’Atalanta da vicino, che impressione ti ha fatto?
«Per me l’Atalanta è una realtà consolidata che sa rinnovarsi senza perdere identità. Ora si è aperto un nuovo ciclo. Il campionato è iniziato con due pareggi che, con un pizzico di fortuna, potevano essere vittorie. C’è tempo per crescere. Napoli e Juventus sono partite bene, ma ho visto equilibrio. È presto per previsioni: piedi di piombo, la stagione può cambiare in fretta».
Chi potrebbe essere l’uomo in più di questa Atalanta?
«Non uno solo. Musah rinforza il centrocampo; Zalewski può incidere sulla fascia; fondamentali i recuperi di Scalvini e Scamacca. Scamacca ha già offerto buone prestazioni; mi aspetto che De Ketelaere imponga definitivamente il suo talento. Poi l’affidabilità di Pasalic e De Roon. E ho grandi aspettative su Carnesecchi: spero diventi sempre più un baluardo dell’Atalanta e possa scalare anche le gerarchie della Nazionale, alle spalle di Donnarumma».
Cosa pensi del girone di Champions?
«Impegnativo ma affascinante: affronteremo club tra i più titolati. È prestigioso a prescindere dai risultati».
Si comincia con il Paris Saint-Germain…
«Servirà la versione migliore dell’Atalanta, la partita perfetta. Ma la Dea ha dimostrato di potersela giocare con chiunque. Non sarà semplice, però mai dire mai».
E Atalanta-Lecce?
«È una partita da vincere. Dopo due pareggi, servono i tre punti: bisogna alzare ritmo e qualità del gioco».
A Parma, nonostante la prestazione deludente, i tifosi hanno applaudito la squadra.
«Il pubblico dell’Atalanta è un tutt’uno con la squadra: non fa mancare il sostegno e dimostra fiducia. “La maglia sudata sempre” è la filosofia di vita dell’Atalanta e dei bergamaschi. Quell’applauso lo conferma. Anche con rammarico per una vittoria sfumata, il senso di appartenenza resta fortissimo e va oltre il risultato. È uno dei punti di forza del mondo atalantino: si va avanti insieme, a prescindere. A Bergamo non si va “allo stadio”, si va “all’Atalanta”».
Federica dimostra che si può essere ambiziosi senza perdere l’anima, professionali senza rinunciare al cuore. La sua è una storia di scelte sincere, passi guadagnati con impegno e sogni coltivati con testa e cuore. Non cerca scorciatoie, non indossa maschere. In un mondo affamato di visibilità, lei resta semplicemente Federica. Vera. E tanto basta.
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