Quando Luciano Spalletti nell'ultima conferenza stampa tenuta a Coverciano dice che l'Italia non deve essere l'hacker di sé stessa parla ai giornalisti per rivolgersi alla sua squadra. Il messaggio è chiaro: "Non carichiamoci di ulteriori pressioni, ce ne sono già abbastanza". C'è sempre un ulteriore pensiero nei discorsi spesso arzigogolati del commissario tecnico che sabato, per la prima volta, ha ricordato da dove è partita la sua avventura: "Quando sono arrivato c'era una ferita aperta ancora importante. Sappiamo da dove veniamo, ma sicuramente la migliore cosa non è dire a questi ragazzi che l'unica cosa possibile è vincere l'Europeo". Spalletti che nei giorni precedenti aveva invitato a Coverciano cinque numeri 10 per ispirare la squadra, che più volte aveva parlato dei campioni del 2021 come riferimento, a pochi giorni dall'inizio del torneo ha iniziato a cambiare la sua strategia comunicativa, con l'obiettivo di far scudo attorno a un gruppo che di quella squadra porta in dote solo 9 giocatori su 26. Soprattutto, non ha con sé tanti dei leader che hanno caratterizzato quell'avventura culminata col trionfo di Wembley.
All'Europeo itinerante arrivammo di slancio, dopo quasi tre anni di risultati positivi. Eravamo in un girone relativamente agevole, iniziammo quella competizione con un ottimo stato di forma e con una squadra che si conosceva alla perfezione. Tutti ingredienti che oggi si fatica a vedere con la stessa chiarezza nella nascente Italia di Luciano Spalletti.
Eppure anche in quel caso, superato di slancio il raggruppamento, la Nazionale con l'arrivo della fase a eliminazione diretta si trascinò fino al tetto d'Europa soprattutto grazie a una solidissima fase difensiva guidata da Bonucci e Chiellini, oltre che dal miglior giocatore del torneo che oggi è il nostro capitano. Quella coppia fu determinante per le nostre sorti e oggi, alle porte di un nuovo Europeo, sembra quella la vera grande differenza rispetto a tre anni fa. Non perché chi in questo momento è al centro della difesa dell'Italia non possa raggiungere quei livelli, magari farà anche meglio. Però oggi non ha la stessa esperienza, né la stessa personalità. Sono qualità che nel 2006 ci portarono sul tetto del mondo e tre anni fa a vincere un titolo anche se non eravamo i più talentuosi. Se insegna qualcosa, la storia ci dice che abbiamo ottenuto i nostri trionfi quando il gruppo era maturo, pieno di giocatori abituati a gestire la pressione quando la pressione sembrava ingestibile. Ricordate l'abbraccio quasi soffocante di Chiellini a Jordi Alba prima dei rigori? Il suo ghigno e il suo 'mentiroso' per render leggero un momento che sembrava soffocante? O lo straripante Bonucci in finale? Anche solo a pensarci, oggi si fatica a immaginare che qualcuno - in questo gruppo - in un momento del genere possa avere la stessa autorevolezza.
Proprio Giorgio Chiellini, interrogato pochi giorni fa sulle favorite per l'Europeo, non ha indicato l'Italia tra le prime indiziate alla vittoria finale: "Penso che Inghilterra, Francia e Portogallo, non in questo ordine, siano nettamente migliori delle altre. La Germania gioca in casa, la Spagna è una squadra importante, anche se non ha più quei giocatori di qualche anno fa, diciamo che queste sono le principali favorite. L'Italia mi piace metterla un gradino sotto, non mi dà fastidio vederla un gradino sotto, perché poi so che dagli ottavi in poi è una squadra che nessuno vuole affrontare". Graduatoria condivisibile. Un ragionamento non troppo lontano dallo Spalletti pensiero che a Coverciano ha provato in tutti i modi a far passare il messaggio che una non vittoria non vorrebbe dire fallimento. Che va giudicato il percorso. Non è la squadra di tre anni, né negli uomini né nei leader. L'aut aut può valere per la Francia, per Bellingham e compagni o per i padroni di casa. Non per l'Italia che lo scorso autunno ha dimostrato di esser più vicino all'Ucraina che all'Inghilterra. Meglio chiarirlo prima...
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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