Dietro la corazza del calciatore, spesso idealizzato come un supereroe invincibile, si nasconde la fragilità dell'uomo. Fredy Guarín, il "Giaguaro" che ha fatto innamorare i tifosi nerazzurri con la sua potenza fisica, ha deciso di togliere la maschera. In una lunga e dolorosa intervista concessa al Corriere della Sera, il centrocampista colombiano ha raccontato la sua discesa agli inferi, fatta di alcolismo, depressione e solitudine, e la faticosa risalita verso la luce. Una testimonianza di disarmante umanità che va oltre il calcio giocato.

LE QUATTRO DESTINAZIONI DEL DOLORE – "Ho dovuto toccare le porte dell'inferno per rinascere", ammette Guarín senza giri di parole. La sua analisi è lucida, quasi spietata: "Dico sempre che strade come quella dell’alcolismo hanno quattro destinazioni: l’abbandono, l’ospedale, il carcere, la morte". Il tunnel è iniziato proprio quando indossava la maglia dell'Inter, negli ultimi mesi della sua avventura italiana. Ma la bottiglia, spiega Fredy, era solo il sintomo, non la malattia: "L'alcol non era il vero problema. Stavo male per la mia situazione familiare, mi stavo separando e non accettavo di vivere lontano dai miei bambini. Bere era un rifugio dove nascondermi".

GLI AMICI IN NERAZZURRO – Nel buio di quei giorni, lo spogliatoio dell'Inter aveva capito tutto, prima ancora del diretto interessato. Guarín ricorda con affetto chi ha provato a tendergli una mano quando il controllo stava scivolando via: "Gli altri si erano accorti, io no. Zanetti, Stankovic, Mancini, Icardi, Cordoba... cercavano di aiutarmi, ma il mio problema era ormai troppo grande". L'addio all'Italia non fu una scelta tecnica, ma una fuga necessaria: "Ho dovuto lasciare il Paese perché la situazione era difficile da controllare".

IL MIRACOLO DELLA SALVEZZA – Il racconto tocca il fondo quando Guarín confessa di aver guardato la morte in faccia. "Ho pensato di suicidarmi. E tre volte ho provato a togliermi la vita". A salvarlo, racconta, è stato un intervento divino e la lucidità di una telefonata disperata alla sua psicologa e al suo agente. Da lì, l'ingresso in una fondazione e l'inizio di una nuova vita, scandita da regole ferree: "Sveglia alle sei, allenamenti, psicologi, psichiatri. È iniziata la mia partita più importante. Non ho più smesso di seguire il programma riabilitativo. Mi ha salvato".

Oggi Fredy Guarín non segna gol da trenta metri, ma ha vinto una sfida ben più grande: quella di restare vivo e di poterne parlare, per essere d'esempio a chi combatte gli stessi demoni.

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Sezione: Altre news / Data: Dom 21 dicembre 2025 alle 17:11
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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