Se Antonio Percassi decidesse oggi di scendere in politica, prenderebbe il 90 per cento dei voti bergamaschi. Il dato non esce da nessun sondaggio Ipr Marketing, lo si sente sulla pelle ogni volta che si parla dell'Atalanta e dei suoi misteri. Sabato notte ad esempio, con trentamila tifosi in delirio, per una promozione conquistata non ieri, all'ultimo secondo e con una rovesciata volante del capitano, ma due settimane fa dopo una partita facile facile contro il modestissimo Portogruaro.

Cosa è successo di diverso rispetto all'ultimo salto in A? In panchina c'era sempre Colantuono e l'annata era stata pressoché identica: campionato stradominato, con i nerazzurri di un'altra categoria. Ad ora e guardando anche al primo Percassi, la differenza di risultati con la gestione Ruggeri è pressoché nulla. Ma è totalmente cambiato l'impatto comunicativo. Lo dimostrano tanti piccoli episodi e l'immensa Notte Nerazzurra. Sembrava che la Dea avesse vinto la Champions League, chi ha partecipato alla serata si è sentito parte di un momento storico: indimenticabile e irripetibile. E' davvero così? Assolutamente no, la società bergamasca da quando è nata fa tanta A e un po' di B, quest'ultimo è, quindi, solo l'ennesimo salto di una lunga serie di saliscendi. Prima di Percassi però non c'era la passerella, il pullman scoperto, il palco in stile concerto dei Rolling Stones. Era tutto piccino picciò, in formato orobico.

Percassi è un genio che sta cambiando nel profondo i bergamaschi, tradizionalmente chiusi e concentrati sul lavoro. Lui gli sta proponendo una festa continua che fonde le illusioni in stile Las Vegas (luci, colori, bandiere, bandierine, magliette celebrative, miss e starlette) agli slogan in bergamasco che fanno l'occhiolino alla Lega Nord ("A'm g'ha de turnà sö söbet!"). Quest'anno il mix si è rivelato vincente e, ora, nell'immaginario collettivo Percassi, più che un presidente, è diventato una sorta di santo protettore della Dea nerazzurra.

Quel che fa Antonio è sempre cosa buona e giusta, le colpe, quando l'Atalanta non va alla perfezione, sono dei suoi collaboratori, in primis l'allenatore e il direttore sportivo, spesso tritati dalla macchina del consenso, orchestrata dal primo quotidiano orobico di cui Percassi è azionista. Ho sempre pensato che la riconferma di Colantuono sulla panchina bergamasca non fosse in discussione. Ma non per strane soffiate di qualche dirigente amico, per la logica dei fatti: squadra che vince, non si cambia e nella squadra è compreso anche il mister. Dopo la notte di sabato sono invece convinto che arriverà Delneri. Per due motivi, uno legato all'ambito marketing-politico su cui si muove la nuova Dea: Gigi è un uomo del nord, da sempre simpatizzante leghista, legato alla (finta) favola pane e salame del Chievo. E al sud ha sempre fallito. Per la sua carriera, pur non essendo nato sotto le Mura Venete, Delneri rappresenta il mito della superiorità bergamasca su cui tanto spinge Percassi.

E poi l'ormai ex tecnico della Juventus è un perfetto parafulmine nel caso il cammino nel massimo campionato italiano si rivelasse più difficile del previsto. Soprattutto perché è reduce dall'ennesima stagione fallimentare con una grande. Con un Percassi al massimo della popolarità, per forza di cose la panchina dell'Atalanta scotta come il fuoco. Perché, se il presidente non si tocca, chi sale sul banco degli imputati in caso di sconfitta? Io dico Delneri.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 23 maggio 2011 alle 09:00 / Fonte: Bergamo&Sport
Autore: Matteo Bonfanti
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