C’è una categoria speciale di calciatori, quelli che sanno entrare nella storia, non soltanto per i gol segnati o per le giocate memorabili, ma perché riescono a lasciare qualcosa di più profondo, qualcosa che tocca le corde più intime dell’anima sportiva di una città. Oliviero Garlini apparteneva a questa categoria. E oggi, con il suo addio, Bergamo riscopre dolorosamente quanto sia raro e prezioso un campione che sia anche esempio e guida fuori dal campo.
Garlini non era solo il bomber acrobatico che nel 1988 aveva illuso una città intera contro il Malines, portando l’Atalanta a sognare l’impensabile finale di Coppa delle Coppe. Era qualcosa di più: era il simbolo di un calcio che sapeva ancora parlare alla gente comune, un calcio fatto di sacrificio, umiltà e soprattutto di quella semplicità che spesso, oggi, ci appare perduta per sempre.
I funerali di stamattina a Stezzano, sotto un cielo che sembrava voler partecipare anch'esso alla malinconia della giornata, hanno restituito un'immagine nitida della grandezza morale del bomber nerazzurro. Non si contavano solo ex compagni, dirigenti o tifosi che lo avevano visto giocare, ma anche giovani che non lo avevano mai visto calciare un pallone, lì semplicemente per ringraziare un uomo di cui hanno ascoltato storie e leggende. Tutti insieme, perché Garlini aveva saputo fare qualcosa che solo i grandi riescono davvero a realizzare: unire generazioni diverse nel ricordo e nell'affetto.
L'emozione di sua moglie Maura, che ha ricordato l'uomo prima del campione, l'amico Giovanni che ha sottolineato la sua capacità di restare sempre fedele a se stesso, la presenza commossa dei vertici societari e di una folla immensa, dicono molto più di qualsiasi statistica sui gol segnati o sulle partite giocate. Raccontano di una vita vissuta con coerenza, generosità e sensibilità, e di un'eredità che andrà ben oltre le mura dello stadio e i confini del campo da gioco.
Se n'è andato Oliviero, ma resta la sua lezione più grande, quella che insegnava ogni giorno ai ragazzi che allenava nelle giovanili: «Prima l’educazione e il rispetto, poi tutto il resto». È una frase semplice, quasi banale nella sua chiarezza, eppure contiene tutto ciò che serve per capire perché Bergamo oggi lo piange con tanta partecipazione.
La partita più importante, come ha detto con profonda saggezza il sacerdote nell'omelia, l’abbiamo giocata tutti insieme ieri, salutando per l'ultima volta il bomber gentile che ha fatto sognare Bergamo e l’ha resa un po’ migliore. Ed è questa, forse, la vittoria più bella che Oliviero ci lascia.
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