"Baroni l’ho scelto io personalmente, è un maestro di vita. Mi ispiro a Maestrelli”. Con queste parole il presidente Lotito non più tardi di cinque mesi fa esaltava il lavoro svolto da Marco Baroni nei suoi primi mesi in biancoceleste. Il tecnico toscano è stata la più grande rivelazione in casa Lazio, arrivato in punta di piedi ma desideroso di giocarsi al meglio la grande occasione della sua vita. Le risposte sono arrivate, un girone d’andata vissuto in piena zona Champions e un’Europa League da leader assoluto, con 7 vittorie, due pareggi e una sola sconfitta fino ad oggi. Eppure qualcosa sembra non funzionare più. Chiunque osservi la Lazio dall’esterno può rimanere stupito. Dopo esser arrivata settima lo scorso anno la Lazio ha ridotto il monte ingaggi, dicendo addio a totem assoluti come Immobile, Felipe Anderson, Luis Alberto e Cataldi. Sul mercato ha dato il via a un progetto nuovo, giovane, che ha come prerogativa quella di valorizzare dei prospetti senza puntare su calciatori già pronti. Costi ridotti, rosa ringiovanita, leader salutati. Nonostante questo la Lazio si trova a soli due punti dalla Champions e ha eguagliato il miglior risultato europeo dell’era Lotito con i quarti di finale in Europa League. Eppure, come detto prima, qualcosa sembra non funzionare più.
Lazio, Baroni sfida il passato: da Petkovic e Pioli fino a Sarri, è un film già visto
Corsi e ricorsi storici in casa Lazio. Passare dall’esaltazione alla richiesta di chiarimenti è un attimo, il passo è breve. Da maestro di vita a tecnico che deve delle spiegazioni, Baroni ci ha messo qualche mese e ripercorre le orme di diversi suoi predecessori. Il primo fu Vladimir Petkovic, vera rivelazione nella prima parte della stagione 2012/2013 di una Lazio che per qualche settimana fu anche la prima inseguitrice della Juventus di Conte. Poi però i quarti di finale in Europa League condannarono la Lazio a un girone di ritorno difficilissimo (ricorda qualcosa?), il tecnico impreziosì quel finale di stagione con la vittoria del 26 maggio in Coppa Italia contro la Roma. Il rapporto non durò molto, giusto qualche mese in più prima che Petkovic prese la via della Svizzera. Nuovo tecnico, stesso film. Con Pioli l’esaltazione arrivò qualche mese dopo, tra la fine del girone d’andata e l’inizio del girone di ritorno. Un trimestre da favola con la Lazio che trascinata da Felipe Anderson arrivò in finale di Coppa Italia e si qualificò ai preliminari di Champions League vincendo a Napoli l’ultima giornata. Bastarono poi sei mesi per ribaltare tutto, Pioli fu esonerato ad aprile dell’anno successivo per una cattiva gestione di una rosa assolutamente competitiva. Inzaghi è riuscito a resistere di più, anche se già al secondo anno ha rischiato di emulare Petkovic e Pioli. Quarti di finale d’Europa League, quasi un intero campionato in zona Champions per poi perdere l’ultima giornata con l’Inter e dire addio al quarto posto. Poche rotazioni, giocatori arrivati a fine stagione stremati. Anche qui gestione della rosa che richiedeva spiegazioni. Inzaghi è poi riuscito a dare una sterzata ottenendo la qualificazione alla Champions nel 2020, dove comunque dopo l’interruzione per Covid sono emersi i soliti problemi. La gestione di una rosa ritenuta all’altezza che per ogni allenatore passato a Formello non era poi così tanto all’altezza. L’ultimo a vivere questa montagna russa è stato Maurizio Sarri. Dall’esaltazione per un secondo posto straordinario con tanto di paragoni con Maestrelli a una stagione da dimenticare dove è stato il tecnico toscano ad alzare bandiera bianca e dimettersi in un’annata dove il doppio impegno ha condizionato enormemente il rendimento dei biancocelesti. Se tre indizi fanno una prova, allora quattro percorsi molto simili di quattro allenatori dovrebbero rappresentare una prova schiacciante. Starà a Baroni invertire la rotta, trovare le spiegazioni giuste e riprendere il giusto cammino per un finale di stagione dove è ancora tutto da decidere.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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