Josip Ilicic provoca sensazioni. Rabbia, meraviglia. Stupore, senso d'incompiutezza. Uno così merita la Scala del pallone, non geograficamente intesa come Milano ma come palcoscenici primi. Solo che poi in carriera ha alternato l'acuto alla stecca, il proscenio all'oblio. Dice d'essere diventato uomo, adesso, e c'è da credergli. Di aver capito il senso della parola responsabilità, che il bello fine a se stesso è arte degli incompiuti. E' stato per distacco il migliore di Inter-Atalanta ma anche stavolta, manca qualcosa. Il gol, il trionfo, Zapata forse. Però anche quando è stato trascinatore vittorioso, Josip da Prijedor, Bosnia-Erzegovina, ha lasciato quella sensazione. Applausi a metà, perché la magia c'era già quando incomprensibilmente la strozzava. "Era l'ora", vien da dirgli, ma fin quando? Ilicic strozza l'altra metà degli applausi perché ancora provoca un'altra sensazione. Sfiducia. Uno che salta sempre il primo dirimpettaio in Inter-Atalanta non è certo uno qualsiasi. Uno che gioca così, non è uno qualsiasi. Queste gare finali sono lo sprint non solo per le pacche, ma per la standing ovation. Per dare una sensazione di compiutezza, finalmente. Perché sia meraviglia fino in fondo, e non solo bellezza a metà, solo per il gusto di esser tale.

Sezione: Copertina / Data: Dom 07 aprile 2019 alle 21:24
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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