Esonero. Una parola che all’Atalanta suona quasi estranea, come se non appartenesse al lessico di Zingonia. Per filosofia, stile e risultati, la società bergamasca non è abituata a separarsi da un allenatore a stagione in corso. L’ultima volta era accaduto oltre dieci anni fa, nel marzo 2015, quando Stefano Colantuono lasciò il posto a Edy Reja dopo una striscia di quattro sconfitte. Da allora, più di 3.900 giorni e una sola costante: la stabilità.
Il licenziamento di Ivan Juric, ufficializzato il 10 novembre 2025, riporta alla memoria quella lontana decisione e rappresenta il secondo cambio tecnico in quindici anni della seconda era Percassi. Un evento raro, se non unico, nella geografia gestionale di un club che ha fatto della continuità una virtù e della pazienza una cifra identitaria.
UN CLUB CONTROCORRENTE - Dal ritorno della famiglia Percassi alla guida della società, l’Atalanta ha avuto appena quattro allenatori: Colantuono, Reja, Gasperini e Juric. Raffaele Palladino, in arrivo, sarà il quinto.
Un dato che racconta più di qualsiasi classifica: negli ultimi decenni, i cambi in panchina sono stati eccezioni. L’Atalanta non ha mai ceduto alla tentazione del “colpo di spugna” facile, mantenendo coerenza e visione anche nei momenti di difficoltà.
La prima gestione Percassi aveva conosciuto pochi avvicendamenti: Frosio-Giorgi nel 1990/91 e Guidolin-Prandelli-Valdinoci nel 1993/94. Poi, nella lunga modernità bergamasca, appena sei sostituzioni in corso d’opera in trent’anni. Un record di stabilità nel calcio italiano.
L’ERA DEGLI UOMINI DI FIDUCIA - A partire dal 2002 - analizzato il dato storico e statistico L'Eco di Bergamo -, le panchine atalantine sono state un laboratorio di continuità. Vavassori cedette il posto a Finardi nel 2003, poi toccò a Mandorlini lasciare a Rossi nel 2005.
Nel 2009 arrivò la parentesi più convulsa: prima Gregucci, poi Conte e infine Mutti, con una fugace apparizione di Bonacina. Da allora, la quiete. Il decennio successivo, sotto il marchio Percassi, ha visto alternarsi solo Colantuono, Reja e, dal 2016, l’uomo della rivoluzione: Gian Piero Gasperini.
Nove stagioni, 3.257 giorni, tre qualificazioni in Champions e una Europa League vinta: trentatré volte più lunga della fugace esperienza di Juric, durata appena 157 giorni, dal 6 giugno al 10 novembre.
JURIC, UN PASSAGGIO TROPPO BREVE - I numeri dell’era Juric sono impietosi. Dall’esordio del 24 agosto (Atalanta-Pisa) alla disfatta contro il Sassuolo, il croato ha guidato la Dea per 15 partite, con solo quattro vittorie complessive – due in campionato, due in coppa.
Una parentesi breve ma non la più corta: Gregucci resistette appena 82 giorni nel 2009, Conte 108, Guidolin solo 12 partite nel 1993.
Tra coloro che avevano iniziato una stagione, il record negativo resta di Puricelli, esonerato nel 1965/66 dopo appena un mese di campionato.
Juric, pur con qualche barlume di speranza europea, non ha mai trovato l’equilibrio: la sua Atalanta ha vissuto di fiammate isolate e di troppe giornate grigie. Il bilancio finale – e la coincidenza del calendario – chiudono un cerchio beffardo: esonerato il 10 novembre, la stessa data in cui, dodici mesi prima, era stato cacciato dalla Roma.
UN CLUB CHE NON CAMBIA, MA SA CAMBIARE - L’esonero di Juric non cambia la natura dell’Atalanta, ma la ricorda: quando la società decide di intervenire, lo fa per ricostruire, non per distruggere.
La Dea ha sempre privilegiato i progetti agli scossoni, le idee ai proclami. È un club che misura le proprie scelte in anni, non in giornate.
E anche questa volta, la decisione di cambiare rotta è arrivata non per disperazione, ma per visione: Raffaele Palladino rappresenta un nuovo inizio, diverso nei modi ma fedele nei principi.
LA STORIA CONTINUA - Nella cronologia nerazzurra, quello di Juric è solo il trentunesimo esonero in quasi un secolo di storia, escludendo i traghettatori occasionali. Il primo risale al 1928, quando Payer lasciò il posto a Tirabassi, ancora prima dell’introduzione del girone unico.
Da allora, la Dea ha cambiato tanto, ma non la sua identità: una società che si muove con calma, che sceglie con cura, che costruisce con metodo.
A Bergamo, i numeri non servono per contare gli esoneri. Servono per raccontare la fedeltà di un club alla propria filosofia: poche parole, pochi cambi, tante idee. E in fondo, anche l’addio a Juric, pur doloroso, si inserisce perfettamente in questa logica: chi sbaglia paga, ma chi lavora bene – come l’Atalanta – sa sempre da dove ripartire.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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