Turchia-Italia 0-3 al 90'
E' una notte bellissima. Dove tutto riparte. Per novanta minuti, la parola più umile e semplice è sembrata la più preziosa e ritrovata. Normalità. E per tre volte l'Italia ha deciso di spezzarla, contro la Turchia, bagnando il suo esordio europeo con una vittoria roboante, sensazionale. L'Italia di Roberto Mancini ma anche di un calcio di provincia, senza stelle ma italianissima. Prendete il primo gol e il suo protagonista. La carriera al Sassuolo al Berardi è nata quasi per caso. A una partita a calcetto con il fratello che studiava fuori sede a Modena, dopo un provino fallito con la SPAL, dopo un'imberbe carriera che lo aveva visto sfiorare pure le giovanili della Juventus e del Cosenza. Domenico Berardi è il ragazzo di provincia, che ha deciso di sposare l'amore di una vita, conosciuto tra i banchi di scuola e mai più abbandonato. Il nero e il verde del Sassuolo, oltre le sirene, oltre quel che avrebbe potuto essere e diventare. L'azione dalla destra che porta al vantaggio azzurro è sua, è frutto di quella provincia dove gli operai si sporcano le mani, dove c'è sudore, fatica e dove c'è un sacro rispetto del lavoro. Salta un uomo e dall'interno dell'area saetta un destro dove Demiral si tuffa disperato. Agli archivi passerà che questo Europeo, quello rimandato e poi giocato, col sorriso di chi sogna la normalità sotto una mascherina col filtro, sarà aperto da un autogol. Però quel tuffo, quell'intervento dello juventino, è la preghiera che risuona quando il requiem è già bello che andato.
NESSUN DORMELa partita s'apre con Bocelli che canta, uno spettacolo di colori e suoni. Nessun Dorma. Non lo fa la Turchia, che parte stretta come i Dardanelli. Poca profondità, maglie chiuse, tutti dentro al campo e contropiedi affidati al Re di Francia, Yilmaz. Solo che gli altri lo accompagnano a fatica e nel primo tempo è un suo squillo a far agitare i guantoni a Donnarumma. E' l'Europeo della ripartenza ma non del contropiede: l'Italia è un tamburo crescente, che avvolge la Turchia e poi la mette al tappeto. Non nel primo tempo, quando il Bosforo rimane ben presidiato da Demiral e Soyuncu che hanno muscoli e cattiveria giuste. La ripresa s'apre però con quel tuffo del bianconero sulla saetta dalla provincia di Berardi. E da allora è Italia.
TRE ACUTI Al sessantaseiesimo, Spinazzola, nel fianco della Turchia, converge e conclude. Cakir fa buona guardia, ma la respinta è corta e la difesa non è fumante come solito. Immobile sì, ben altro che nomen omen. Sembra un altro, Ciro, a casa sua. E' stato in difficoltà con l'azzurro Lazio, è figlio di un dio calcistico diverso con quello Italia. E' rapace, veloce, decisivo. Nelle casse dell'Olimpico risuona Seven Nations Army, dolci reminiscenze dell'urlo di Grosso, della testa di Materazzi, di Totti, di Lippi, di qualche ruga in meno e di un'altra generazione di cuori in festa. Il terzo è l'apostrofo azzurro, Insigne, dieci nell'anima, nei piedi, nelle idee, piccolo grande trascinatore. Davanti a Cakir, verga una parabola imprendibile ed esulta festante. Ventottesimo risultato utile di fila, l'Italia ha piantato una bandiera sulla mappa d'Europa. Non sarà la favorita. Non sarà la migliore. Non sarà tante cose. Ma è una, in particolare. Italia. Nel senso più assoluto del termine.
Autore: Redazione TuttoAtalanta.com / Twitter: @tuttoatalanta
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