L’eccezione. La Real Sociedad nell’ultimo periodo ha rappresentato una sorprendente, grande, bella eccezione. La squadra che festeggerà questa sera il ritorno ad Anoeta di una gara di Champions League dopo un decennio, è stata la grande eccezione della passata stagione di Liga, dove è rimasta competitiva fino alla fine lasciandosi alle spalle il Villarreal, il Betis e i grandi rivali storici dell’Athletic Club, l’altra grande realtà dei Paesi Baschi. Da cui la divide, sia l’anima della città, l’elegante e soleggiata Donostia (o San Sebastian, seconda la denominazione castigliana) l'opposto della laboriosa e più grigia Bilbao, e lo spirito del club, con i biancorossi sempre legati alla regola della nascita o della formazione in terra basca come vincolo per indossare la maglia mentre la compagine Txuri-urdin è oggi totalmente aperta a ogni cittadino del mondo.
Tutto ciò ha prodotto l’ennesima, straordinaria eccezione: la Real (nata come Sociedad de Fútbol de San Sebastián, a cui si aggiunge con il rientro della monarchia nel Paese, la parola Real, da qui il femminile obbligatorio) ha creato negli ultimi anni una straordinaria sezione di scouting, gestito dal direttore sportivo Roberto Olabe, che ha coinvolto anche professionisti che venivano da territori differenti (anche un grande giornalista come Abel Rojas, protagonista in Ecos del Balon, il sito che ha cambiato gli ultimi anni della comunicazione del calcio in Spagna), e che ha prodotto una serie di chiamate straordinarie, frutto più di osservazioni e pazienza che da semplici algoritmi: una per tutte, Isak, che sembrava perso dopo Dortmund, a Donostia è arrivato per otto milioni, è rinato ed è stato rivenduto a più di 70 al Newcastle. Una modalità ripetuta in questi anni, con l’acquisizione del giapponese Take Kubo, probabilmente l’uomo più in forma di tutta la Liga, con l’eccezione del marziano Jude Bellingham. Talento precoce arrivato al Barcellona, tornato a casa e poi rientrato in Spagna nel Real Madrid dove, al di là di qualche lampo, non ha mai trovato continuità, perso tra un prestito e l’altro. Poi sono arrivati quelli dell’eccezione, quelli della Real Sociedad, che lo hanno messo nelle condizioni di esplodere definitivamente, però adesso il cartellino è tutto loro (anche se il Madrid ha una percentuale sulla rivendita).
Oltre al lavoro del tecnico, il più donostiarra di tutti, Imanol Alguacil (ma adesso ci arriviamo), il maestro del giapponese classe 2001 è stato nella scorsa stagione David Silva, che ha scelto di chiudere qui la sua clamorosa carriera ( e non è un caso). Quelle parole del canario hanno avuto un effetto luminescente su Kubo, che quest’anno ha vinto già quattro premi come miglior giocatore della partita. Richiesta una opinione all’interessato, dopo aver chiuso il poker, questa la risposta: “sono contento di aver ricevuto questo premio, è il primo realmente meritato, gli altri tre sarebbero dovuti toccare ad altri”.
L’eccezione, appunto. Rappresentata anche dalla forma in cui è espressa: una lingua favolosa che è Cervantes mescolato con la cadenza giapponese.
Il mancino Kubo parte da destra nel 4-3-3 di Alguacil, l’architetto della squadra che secondo le intenzioni di alcuni avrebbe dovuto essere una folkloristica eccezione. Tutto sembrava preparato affinché uno dei più amati giocatori della storia del club, Xabi Alonso, diventasse l’allenatore. E invece l’ex stella di Madrid e Liverpool si è fermato alla squadra B, poi è dovuto emigrare in Germania per iniziare un percorso, peraltro super interessante (suonano per lui panchine importantissime).
A San Sebastian Alguacil costruiva un calcio di posizione con una fluidità interessante e soprattutto esteticamente importante. Naturale, quasi, il ritorno alla vittoria di un trofeo, la Copa del Rey (battuto in finale l’Athletic: rigore decisivo di Oyarzabal, capitano e oggi simbolo della squadra) che mancava alla Real dai tempi di Bakero e Txiki Begiristain, star del club prima di diventare beniamini di Johan Cruyff, scusate se è poco…
Vincenti al Barça (pure la prima Coppa dei Campioni della storia blaugrana), e sempre idoli a San Sebastian. Dove non hanno mai smesso di costruirsi i giocatori in casa. Nella gara persa, lottando, al Bernabeu dell’ultima giornata, cinque undicesimi della squadra, la metà sostanzialmente, era passata dalla squadra B e dalle giovanili (davanti è partito alla grande l’esterno Barrenechea, ma chi fa girare la squadra è il mediocentro Zubimendi) . Compreso il francese Le Normand (oggi naturalizzato spagnolo) portato da giovanissimo al club dallo stesso agente che anni prima portò tale Antoine Griezmann, anche lui cresciuto nella Real Sociedad. L’obiettivo in questa Champions rimane quello di sempre: vivere il calcio secondo la propria cultura e identità. Anoeta è orgogliosa della propria eccezionalità.
Autore: Red. TuttoAtalanta.com
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